«Il teatro italiano è attraversato da un terremoto, con spettacoli annullati ovunque. Per fortuna il mio varietà un po’ vecchio stampo va benissimo e il tour, che doveva finire a gennaio, prosegue ». Arturo Brachetti la crisi non sa cosa sia. A grande richiesta il suo Gran Varietà Brachetti prosegue la sua tournée a Milano, al Teatro Smeraldo dal 13 marzo.
Brachetti, lei non è più solo sul palco. In tempo di crisi, al posto di puntare solo su se stesso porta in scena ben 22 persone. Come mai? «Dopo nove anni di 'one man show' ero un po’ stufo, volevo tornare ad avere una mia compagnia, perché non potrò fare il trasformista per sempre. Voglio trovare un’alternativa per il futuro. Ciò non toglie che debutterò con un nuovo 'one man show' a Londra in autunno. In Gran Varietà Brachetti, dove sono attore, regista e autore del testo, scene e costumi, porto in scena personaggi e numeri che stanno tra il musical, il teatro di varietà e l’illusionismo. Ballerini di tip tap, due forzuti, la trapezista, l’acrobata, il mago pazzo. Insomma, porto in scena un tipo di spettacolo che non esiste più».
Un’operazione di recupero storico per le nuove generazioni? «C’è un vero vuoto generazionale. Sono rimasti i vecchi comici di varietà dai 60 anni in su e basta. Grazie al Cirque du Soleil stanno invece crescendo delle nuove generazioni di ventenni che si dedicano al 'nouveau cirque', bravissimi per acrobazia e altre discipline. Ma per la comicità siamo messi male. Negli anni 80 e 90 il varietà era decaduto, non c’è stato un ricambio. Ma il varietà fa parte della nostra cultura come il circo, perché dimenticarlo?».
Lei si sta dando all’insegnamento, anche attraverso la collaborazione con l’Università di Torino e il Dams. «A Torino, che è la mia città, c’è una rinascita culturale incredibile. Ogni sera una cosa nuova, dai piccoli cabaret al teatro di strada alle scuole di teatro. Diciamolo: più la tv si abbassa di livello, più la gente a casa diventa stupida: per fortuna il 50 per cento degli italiani per nutrire il cervello esce, va a vedere le mostre, va al cinema, a teatro».
Eppure il teatro italiano lamenta la crisi. «Purtroppo abbiamo una mentalità assistenzialista tutta italiana. Io ho lavorato al National Theatre di Londra: se un regista fa una cosa straordinaria, gli viene data un’altra possibilità, se fa due flop di seguito non lavora più per quattro anni. In Italia tanti spettacoli brutti, solo perché sono stati pagati dallo Stato, vengono portati in tournée per due anni. Il giusto sta nel mezzo: lo Stato aiuti la cultura, le realtà piccole e di qualità. I finanziamenti a pioggia non fanno bene a nessuno. Ma la meritocrazia in Italia non c’è, il giudizio del popolo scompare dietro al clientelismo. Almeno una volta i critici teatrali avevano il potere di selezionare: ora i giornali non fanno uscire le critiche, la gente non le ascolta. E allora chi giudica?».
C’è però anche il costo dei biglietti che incide sulle tasche del pubblico. «Volendo a teatro si può andare anche per 10 euro. Ma spesso i teatri pubblici hanno riempito le sale con gli studenti costringendoli a vedere delle pizze mostruose. C’è tutta una generazione di ragazzi che pensa: 'A teatro non mi fregano più'. Non puoi costringerli subito a quattro ore di Strindberg. Prima li devi portare a vedere lo spettacolo di bolle di sapone, poi De Filippo, poi Shakespeare. La mia fortuna è che molti genitori portano da me bambini e ragazzi, dai 5 ai 15 anni. Così avranno una prima idea allegra del teatro».
Lei la prima idea di teatro l’ha avuta in seminario, vero? «Certo, i miei mi avevano messo in seminario dai salesiani a 11 anni, sperando di farmi diventare santo. Lì ebbi la fortuna di essere allievo del Mago Sales. Mi ha insegnato ad uscire dalla mia timidezza attraverso i giochi di prestigio. A 18 anni decisi quale sarebbe stata la mia nuova vita. Ma la Chiesa ha avuto una grande importanza nel mondo della magia».
In che senso? «I primi libri di illusionismo vennero scritti nel 1600 dai gesuiti, il primo addirittura da un italiano. La Chiesa voleva esporre i trucchi della magia bianca perché la gente si difendesse dai falsi miracoli. Quanti maghi truffaldini c’erano allora, come ora purtroppo. Ecco, quando vedo quei cartomanti che promettono guarigioni impossibili con due candele e un crocefisso io mi arrabbio».