mercoledì 21 marzo 2018
Presentato il padiglione della Santa Sede all'esposizione veneziana dedicata all'architettura. Sull'isola di San Giorgio Maggiore un "decalogo" di cappelle, percorso spirituale immerso nella natura
Il Vaticano alla Biennale Architettura con dieci chiesine nel bosco
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Immediata riconoscibilità cristiana e due imprescindibili segni liturgici al loro interno: ambone e altare. «Cioè la Parola e la mensa eucaristica celebrata dall’assemblea dei credenti». Sono stati questi, come ha spiegato il cardinale Gianfranco Ravasi, gli unici vincoli imposti ai dieci architetti scelti per realizzare le dieci cappelle del Padiglione col quale la Santa Sede ha per la prima volta voluto partecipare alla Biennale di Architettura di Venezia, dopo due presenze alla Biennale d’arte nel 2013 e nel 2015. Un terzo vincolo, ma questa volta essenzialmente 'ispirativo', è l’adesione all’idea della "Cappella nel bosco" realizzata da Gunnar Asplund nel 1920 per il cimitero di Stoccolma, idea che racchiude in sé il richiamo alla comunità che si riunisce in un contesto di dialogo spirituale integrato con la natura. La caratteristica principale del padiglione vaticano, Vatican Chapels, è quella di proporsi all’interno di un vero bosco, quello dell’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. In questo spazio alberato di alcuni ettari, introdotte da una struttura espositiva, in cui saranno presentati i disegni e il plastico di Asplund per la sua Cappella nel bosco, saranno proposte dieci cappelle, collocate ciascuna nel suo spazio fra gli alberi, appositamente realizzate da architetti provenienti da vari continenti e con diverse radici culturali e religiose.

Costruite con un linguaggio architettonico, struttura e materiali, capace di parlare alla modernità senza tradire, ma anzi valorizzando, il messaggio cristiano. Il tutto a costituire una sorta di itinerario spirituale nella natura. Per tornare alle parole del cardinale Ravasi: «Un decalogo di presenze incastonate nello spazio. Voci fatte architettura che risuonano con la loro armonia spirituale nella trama della vita quotidiana. Una sorta di pellegrinaggio religioso e laico insieme, per coloro che desiderano riscoprire la bellezza, il silenzio, la voce interiore, il trascendente, la fraternità umana dello stare nell’assemblea di un popolo, ma anche la solitudine del bosco, la sensazione dell’essere in un tempio cosmico». Ieri il cardinale Ravasi, in qualità di presidente del Pontificio consiglio della cultura ha presentato il Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Architettura di Venezia nella Sala stampa Vaticana. Con lui c’erano il presidente della Biennale Paolo Baratta e il curatore del Padiglione Francesco Dal Co. Fra gli interventi anche quello del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia, che ha ricordato come le cappelle in corso di costruzione si inseriscano perfettamente nel contesto dell’isola di San Giorgio. Un «percorso spirituale e artistico che aderisce a Venezia con le sue innumerevoli chiese e il suo cammino nella storia edificato sulle solide basi della fede, dell’arte e della cultura. Una città che ha da sempre nell’accoglienza e nella multiculturalità la sua vocazione».

Proprio sul tema della multiculturalità e dell’accoglienza si sono a lungo soffermati sia Ravasi che Dal Co e Baratta, ricordando che si tratta di una scelta precisa che è all’origine dell’idea del Vatican Chapels Emblema di questa scelta è la selezione dei dieci architetti a cui sono state commissionate le cappelle: Andrew Berman (New York 1969), Francesco Cellini (Roma 1944), Javier Corvalan Espinola (Asuncion, Paraguay, 1962), Eva Prats e Ricardo Flores (Barcellona), Norman Foster (Gran Bretagna 1935), Teronobu Fujimori (Nagano, Giappone 1946), Sean Godsell (Melbourne 1960), Carla Juaçaba (Rio de Janeiro 1976), Smiljan Radic Clarke (Santiago del Cile 1965), Eduardo Souto de Moura (Porto 1952), mentre Francesco Magnani e Traudy Pelzel sono gli autori del padiglione che ospiterà la mostra dei disegni di Asplund per la 'Skogskapellet' di Stoccolma. Professionisti nati e cresciuti in contesti diversi e in alcuni casi culturalmente molto distanti fra loro.

In questo particolare momento storico, ha ricordato Ravasi, la molteplicità delle culture ha un grande significato. Da essa e «dal suo dialogo di linguaggi», in particolare, può rinascere quel tessuto relazionale di arte e fede che si è perduto a cavallo fra Ottocento e Novecento, con nuove forme espressive per l’arte sacra. Di questo la Chiesa contemporanea è ben consapevole almeno dal famoso «incontro con gli artisti voluto da Paolo VI nella Cappella Sistina nel 1964, dalla lettera di Giovanni Paolo II agli artisti del 1999, dall’incontro del 2009 voluto da Benedetto XVI sempre nella Cappela Sistina. Lo stesso Papa Francesco nella Evangelii Gaudium ha voluto ribadire la via pulchritudinis, cioè la bellezza come strada religiosa, secondo l’asserto di sant’Agostino: "Noi non amiamo se non ciò che è bello"». E il bello, anche nell’arte sacra, è spesso venuto dal rinnovamento, «pensiamo a quello che accadde quando la Chiesa introdusse la polifonia di Palestrina».

Il rinnovamento e la bellezza, quindi, come frutto del dialogo fra le culture. Un dialogo che nel suo intervento Paolo Baratta ha messo in relazione con lo stare insieme, che è compito specifico dell’architettura, che realizza spazi «interpretando il desiderio dell’uomo di essere e fare comunità. Questo anche nel suo rapporto con l’Assoluto ». Lo spazio edificato «come luogo della comunità e del volere partecipare a essa. In questo la città di Venezia è un esempio. Qui anche il più egoista dei mercanti della Serenissima nel costruire il proprio palazzo sapeva di partecipare alla crescita e al miglioramento della città e costruiva con quello scopo. La Biennale 2018 si colloca in questa direzione. È un invito chiaro a non rinunciare alla spazio fisico (in cui l’uomo si realizza) nell’illusione che ci sia uno spazio virtuale all’interno del quale si può pensare di essere chissà chi o chissà cosa». «L’architettura – ha aggiunto Dal Co – è la misura del mondo. L’architettura è lo spazio della vita». E questo Padiglione della Santa Sede che si colloca in un ambiente naturale come il bosco, emblema di ciò che vive e produce ambiente, «è la metafora del pellegrinare dell’uomo nella vita».

Il concetto di spazio con ciò che lo delimita, ha concluso il cardinale Ravasi, «è una delle categorie antropologiche più importanti. Col verbo 'barà' che ricorre spesso nella Bibbia, si indica in ebraico il concetto del costruire, del creare. E il termine 'ben', figlio, deriva proprio da quel verbo. Il figlio è per l’uomo la costruzione più importante». Per questo è fondamentale trovare nuove strade per l’architettura sacra così che non accada ancora di costruire chiese come quelle che David Maria Turoldo definiva «garage sacrali in cui è stato parcheggiato Dio e i fedeli parcheggiano le loro auto». E dopo la Biennale (dal 26 maggio al 25 novembre) cosa sarà delle 10 cappelle? «Non lo sappiamo ancora. Forse resteranno lì, nel bosco dell’isola di San Giorgio per il quale sono nate. Ma già ci sono arrivate richieste per averle, anche dall’estero».

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