martedì 10 gennaio 2017
Sulla condizione dell'uomo contemporaneo, sempre più spettatore di ciò che i media gli riferiscono, Zygmunt Bauman fece riflettere al convegno Cei "Parabole mediatiche" nel 2002. Un evento di svolta.
Bauman: da spettatori a protagonisti
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«In un’epoca in cui autostrade d’informazione attraversano il pianeta, le argomentazioni basate sull’ignoranza stanno rapidamente perdendo credibilità. L’informazione sulle sofferenze degli altri, trasmesse in una forma vivida e facilmente leggibile, è disponibile all’istante quasi ovunque. Questo ha due conseguenze che pongono dilemmi etici d’inaudita gravità. In primo luogo, "essere spettatori" non è più la condizione eccezionale di poche persone. Ora siamo tutti spettatori: testimoni dell’afflizione, del dolore e della sofferenza che ciò causa. In secondo luogo, abbiamo tutti bisogno di discolparci e di giustificarci. Poche persone, se non addirittura nessuna, non si trovano a dover ricorrere, una volta o l’altra, all’espediente della negazione della colpa». Così parlava Zygmunt Bauman, il sociologo polacco morto a Leeds lunedì 9 gennaio, il 7 novembre 2002 a Roma parlando al convegno Cei «Parabole mediatiche» di Roma, che segnò un punto di svolta nella comunicazione della Chiesa in Italia. Le parole di Bauman al convegno Cei sono state raccolte in un volumetto da Edb («Il Secolo degli spettatori. Il dilemma globale della sofferenza umana», 48 pagine, 6 euro).

Fu in quella circostanza infatti che si prese coscienza dell’emergere di un rinnovato interesse verso la necessità di comunicare e far conoscere la vitalità di una Chiesa di nuovo capace di interessare e coinvolgere anche chi ormai sembrava non sentirsene più attratto. Emerse in quei giorni, anche grazie all’impulso della riflessione di Bauman, la necessità di lanciare e sperimentare nuovi percorsi di comunicazione della comunità ecclesiale, della cultura cattolica, della stessa esperienza di fede. Dalle «parabole mediatiche» – da allora diventate sinonimo di un punto di svolta – prese corpo l’esperienza dei "portaparola", figura che apriva la strada ai nuovi animatori della cultura e della comunicazione che due anni più tardi furono disegnati dal Direttorio Cei «Comunicazione e missione». Per questa esperienza, oggi in costante espansione grazie al grande sforzo formativo delle diocesi con le iniziative territoriali e della Chiesa italiana con i corsi Anicec, la riflessione di Bauman intitolata «Parlare insieme o morire insieme» rimase un riferimento anche simbolicamente rilevante, insieme alla memorabile udienza di Giovanni Paolo II e al celebre discorso dell’allora cardinale Joseph Ratzinger sugli «intagliatori di sicomori» («Comunicazione e cultura: nuovi percorsi per l’evangelizzazione nel terzo millennio»). «Devono aspettarsi solo una lunga e difficile lotta – concluse Bauman – quanti rifiutano e aborriscono la loro condizione di spettatori e quelle persone che desiderano che gli spettatori acquisiscano gli strumenti adatti e sviluppino la determinazione necessaria a elevarsi alla condizione di attori morali. Tuttavia queste persone devono trovare tali strumenti e il coraggio e la volontà necessari per utilizzarli».

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