domenica 19 febbraio 2017
Ha visto i cristiani sparire dalla sua terra, ma ha saputo tessere il dialogo con le Chiese orientali e le autorità turche. Così il Patriarca di Costantinopoli pur se a capo di una comunità minuscola
Bartolomeo, il prestigio della debolezza
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Negli scorsi mesi è uscita in inglese e poi in francese la prima biografia di Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli. Papa Francesco ne ha scritto la prefazione, e Benedetto XVI vi ha pure dato una testimonianza della sua amicizia col patriarca. Bartolomeo aveva sempre scoraggiato chi voleva scrivere su di lui ma per il 25° della sua elezione non ha più frenato l’amico John Chryssavgis, greco d’Australia, suo collaboratore. Il libro, Bartholomew. Apostle and Visionary è il titolo inglese ( Thomas Nelson editore, Nashville, pagine 272), è un grande affresco dell’attività di Bartolomeo e dei problemi che deve affrontare. Il patriarcato ecumenico di Costantinopoli vive nella precarietà, potendo contare, come base di fedeli a Istanbul, su poche migliaia di cristiani, i soli rimasti dell’antica folta comunità greca, stante l’ostilità delle autorità turche.

Lo stesso Bartolomeo, nato nel 1940 nell’isola egea di Imbros, sotto sovranità turca, ha visto la popolazione della sua isola, in origine integralmente ellenica, diventare turca a schiacciante maggioranza, dopo che negli anni ’60 e ’70 le attività economiche dei residenti cristiani sono state strozzate da misure amministrative e numerosi villaggi di nuovi coloni turchi sono stati creati dal nulla. Eppure ciò che caratterizza Bartolomeo e il suo patriarcato ecumenico non è il risentimento verso la Turchia, ma il lealismo verso lo Stato nel quale si deve vivere, inclusa la ricerca di relazioni politiche corrette e comprensive delle reciproche esigenze. Così Bartolomeo ha goduto di una libertà d’iniziativa negata ai suoi predecessori, potendo celebrare liturgia in luoghi di memorie cristiane prima vietati al culto, potendo restaurare 150 chiese ed edifici in rovina appartenenti al patriarcato, potendo ottenere la cittadinanza turca per membri del sinodo patriarcale provenienti quasi tutti dal vario mondo (cosa rilevante per garantire una degna successione patriarcale in quanto solo col passaporto turco si può essere eletti).

D’altra parte, la debolezza strutturale del patriarcato di Costantinopoli è proprio ciò che lo accredita nella sua missione religiosa di imparziale garante dell’unità e di strenuo custode della tradizione a fronte delle tante Chiese ortodosse nazionali indipendenti, facendo del patriarca una sorta di papa degli ortodossi. È l’eredita degli antichi Concili del IV e V secolo che fecero della sede di Costantinopoli la seconda Chiesa dopo Roma, rango divenuto poi di prima Chiesa nei confronti del mondo cristiano orientale dopo la separazione da Roma e dal cristianesimo d’Occidente nell’XI secolo.

Ma questa eredità canonica ha sempre avuto bisogno di inverarsi storicamente per essere effettiva. Bartolomeo ha saputo ben esercitare l’autorevolezza paradossalmente datagli da questa debolezza; un’autorevolezza che Chiese rivali, come la grande Chiesa russa o la stessa Chiesa di Grecia, non potevano avere perché portatrici di interessi troppo pesanti e particolari. Lo si è visto nella realizzazione del Concilio panortodosso di Creta nel giugno scorso. Soltanto la caparbia volontà di Bartolomeo, manifestatasi nell’organismo da lui creato ad hoc per arrivare al 'santo e grande Concilio', ovvero nella periodica Sinassi dei primati delle Chiese ortodosse autocefale, ha consentito questo risultato che generazioni di ortodossi hanno sognato sin dai primi del Novecento. Creta è stato un inizio, una sorta di prova generale di sinodalità possibile, ma intanto è stato dimostrato che la galassia delle Chiese ortodosse autocefale, spesso in contrasto per motivi etniconazionalisti, poteva superare gli angusti orizzonti nazionali e avere un orizzonte comune.

Era l’obiettivo di Bartolomeo, storico difensore dell’universalità cristiana, nel rispetto delle autocefalie legittime, ma non degli autocefalismi sciovinistici. D’altra parte è vocazione del patriarcato ecumenico essere sovrannazionale. Bartolomeo stesso, cittadino turco, di cultura greca, non ama qualificarsi in senso nazionale ma come cristiano aperto all’universale. Non a caso parla greco, turco, inglese, italiano, francese, tedesco, latino. È la non caratterizzazione nazionale che rende il patriarcato atto a rappresentare l’ecumene ortodossa e a gestirne le dinamiche più delicate. Scrive Chryssavgis: «La debolezza delle risorse umane e materiali di Costantinopoli, il suo soffocamento e le sue sofferenze nelle attuali circostanze storiche sono ciò che assicura la perennità della sua imparzialità e accresce il suo prestigio». Come dice il Signore all’apostolo Paolo: «La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9). Ma quella di Chryssavgis è una biografia, non una storia istituzionale.

E dunque il lettore vi troverà appassionate descrizioni dell’infanzia di Bartolomeo o del suo apprendistato al servizio di uomini come il patriarca Atenagora, il patriarca Dimitrios e il metropolita Melitone, tra le più luminose ed ecumeniche figure del cristianesimo novecentesco. Gli anni della giovinezza a Imbros, tra l’altro, spiegano il grande impegno di Bartolomeo per l’ambiente, che lo ha reso famoso in tutto il mondo ben al di là dei mondi cristiani. Imbros, isola povera ma ricca di una natura gentile, segnata da olivi e allori, da montagna e mare, da fiori e profumi mediterranei, da un’aria pura e da acque terse, ha ispirato Bartolomeo alle battaglie ecologiche che lo hanno visto promuovere eventi globali dal mar Nero all’Adriatico, dal Baltico all’Artico, dall’Amazzonia al Mississippi.

Si comprende che papa Francesco, nella Laudato Sì, abbia indicato in Bartolomeo un maestro del rapporto tra fede e creato: Bartolomeo per primo ha connesso il tema ecologico al tema del peccato, ha stabilito la connessione tra fede e scienza per la salvaguardia della natura, ha consacrato il 1° settembre a giornata di preghiera per il creato. Può sembrare strano che un patriarca si dedichi tanto a campagne per l’ambiente. Ma Bartolomeo è un uomo di visione, non il conservatore di un museo. Sa che se ci si chiude a difesa del-l’esistente, la causa è già perduta. Così Bartolomeo non si è perduto nella difesa delle sue posizioni strategiche a Istanbul e dintorni, nella sindrome dell’estinzione della sua comunità, ma ha allargato gli orizzonti a tutti i continenti e ai grandi problemi dell’umanità, con sensibilità interconfessionale e interreligiosa, non senza comprensione dei fenomeni della globalizzazione.

È stata una pacifica controffensiva culturale che ha arrestato la decadenza, tra l’altro procurandogli maggiore rispetto dalle autorità turche. Bartolomeo non ha visto il mondo con gli occhiali della sventura, denunciando secolarizzazione e paganesimo, ma lo ha guardato in maniera positiva e creativa, cercando la collaborazione di tutte le persone di buona volontà per la salvaguardia del creato, per l’unità della famiglia umana, per la giustizia tra i popoli.

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