mercoledì 11 aprile 2018
Calcio a 8, pallavolo, ma anche tennistavolo e mountain bike A Terni da quasi vent’anni una polisportiva speciale esalta ragazzi disabili e migranti abbattendo le barriere dell’indifferenza
Baraonda, tutto un altro sport
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Si chiamano “Baraonda” non a caso. Perché la festa, il gioco, il divertimento sono la stella polare della loro attività, quella filosofia di vita che li guida da quasi vent’anni. Ma anche perché, in fondo, le loro scelte non lasciano mai indifferenti. L’ultima sfida, quella partita lo scorso settembre e che adesso sta prendendo contorni ben delineati, rischia addirittura di creare scompensi in chi in questi mesi ha seminato la cultura dell’odio, ma questo al presidente Mauro Nannini non fa assolutamente paura. La Baraonda, con sede a Terni, è una polisportiva speciale. Perché a giocare sono ragazzi con problemi principalmente legati a difficoltà intellettive, che dal 2001 hanno trovato in questa realtà nata all’interno della cooperativa sociale Actl, una grande valvola di sfogo.

Calcio a 8 e pallavolo, soprattutto. Ma anche bocce, tennistavolo e mountain bike: «Il gioco è fondamentale per la crescita di tutti, ancor più per questi ragazzi - dice il presidente Mauro Nannini, un passato da consigliere comunale, da sempre impegnato sul fronte dell’integrazione - e come detto anche da tanti psicologi, influenza la pedagogia dell’essere umano. In molti hanno detto che facciamo “calcioterapia” o “giocoterapia” ma a noi questo termine non piace, perchè ha una accezione negativa: semplicemente, prima ancora che dei pazienti noi abbiamo delle persone. Certamente persone che hanno dei problemi, ma che sono portatrici di diritti, di soggettività e del diritto di costruzione della propria sfera personale. E personalmente preferisco parlare di abilità diverse, perchè disabili significa “senza abilità” ed invece questi ragazzi sono ciascuno un’eccellenza». All’inizio non è stato facile: «Molti di questi ragazzi assistiti dalle strutture non facevano sport da anni - spiega Fausto Forgia, allenatore di lungo corso che lavora alla Actl e che segue anche in campo i ragazzi della Baraonda - e quando siamo partiti alcuni di loro si vergognavano anche solo di vestirsi da calciatori. Poi però è bastato un pallone che rotola e accorgersi che da noi ognuno gioca secondo le proprie possibilità ». Col tempo però i ragazzi della Baraonda sono diventati fra i più forti d’Italia nel campionato organizzato dall’Anpis, l’Associazione Nazionale delle polisportive di inclusione sociale, di cui Nannini è anche presidente da due anni a questa parte (e che ha in essere un protocollo d’intesa col Csi) ed hanno avuto l’occasione di portare il loro progetto fuori dai confini nazionali, fra Europa e Sudamerica.

Ma la vera sfida è scattata a settembre: «Abbiamo avviato una collaborazione con l’Arci e con la Caritas- spiega Nannini - che si occupano della gestione degli Sprar e abbiamo dei migranti che vengono ad allenarsi e giocare in campionato insieme ai nostri ragazzi». Un progetto di inclusione su cui Nannini punta molto: «È un modo forte per provare ad abbattere il muro dell’indifferenza o peggio del pregiudizio attorno a questi ragazzi. Quando abbiamo loro proposto questa cosa sono stati talmente entusiasti che un giorno si sono presentati al campo in dodici. Abbiamo dovuto scegliere, perché altrimenti non si riusciva a far giocare insieme i migranti e i nostri ragazzi, così adesso abbiamo cinque migranti regolarmente tesserati, che partecipano assiduamente ad allenamenti e partite. Ragazzi che arrivano da tutto il mondo, che giocano insieme ai nostri, valorizzando le differenze e nel rispetto reciproco». E dire che tutto era cominciato attraversando la strada: «Noi giochiamo in un campetto che è vicino alla sede dell’Arci, dove alcuni di questi ragazzi afferiscono- spiega Fausto Forgia- Sono venuti da noi e hanno chiesto semplicemente se potevano giocare. Abbiamo aperto le porte e le braccia e tutto è venuto naturale, come l’adattamento: i migranti hanno abbassato un po’ il loro ritmo e i nostri ragazzi hanno provato ad alzare il loro».

Fra coloro che giocano e si allenano con i ragazzi della Baraonda c’è Peter Eze, 23 anni, arrivato un anno fa dalla Nigeria, indossa la maglietta della Roma ma ha le idee chiare: «Tifo Manchester City e il mio idolo è Dybala». Della squadra è il centravanti: «Non è stato difficile giocare insieme a loro - spiega alternando l’italiano all’inglese - perchè si è subito creato un clima di fratellanza ed amicizia, non c’è competizione fra noi. Ci piace fare gruppo con loro e noi che andiamo un pò più veloce, spesso li mettiamo in condizione di fare gol. Con loro mi trovo bene, ora siamo come fratelli, e non importa se molti alcuni di questi hanno il doppio della mia età: giochiamo insieme, mangiamo insieme, io oggi conosco tutti i loro nomi. Quando la metti sul piano dell’amicizia, della fratellanza, dell’abbraccio, tutte le barriere spariscono». Perchè alla Baraonda - dove si gioca gratis - non si fanno distinzioni di alcun genere: «Ci sono ragazzi di 16 anni, ma il capitano della squadra ne ha 73 e non c’entra nulla con le abilità diverse: è un volontario che ci aiuta e che si è messo in gioco anche lui insieme agli altri», spiega Nannini che poi chiosa: «Le razze non esistono, esistono i fenotipi. Ma siamo tutti esseri umani. Ed esperienze come questa stanno a testimoniarlo ».

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