martedì 3 febbraio 2015
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«Non pochi visitatori ci hanno confessato che prima di entrare al Museo diocesano pensavano di trovarsi in un ambiente in cui chi non condivide la fede resta tagliato fuori. Come se sentissero già odore di sacrestia ammuffita… Nel questionario all’uscita, invece, si dicevano positivamente sbalorditi! Ecco, contro questi pregiudizi diffusi dobbiamo lavorare perché i nostri musei siano riconosciuti di pari dignità».È molto determinata in quest’impresa – al punto da essere stata votata quasi all’unanimità nella recente elezione a Milano – la nuova presidente dell’Amei (Associazione dei Musei Ecclesiastici Italiani) Domenica Primerano, architetto di origini cremonesi e trentina d’adozione. Primerano ci illustra i progetti per l’Associazione nazionale alla vigilia della prossima mostra sul cibo e l’arte («Alla stessa mensa») allestita dal Museo Diocesano Tridentino.«Lo scorso anno abbiamo avuto numeri da record (quasi 50 mila presenze, più 18 % rispetto al 2013, ndr.), che premiano l’idea del nostro fondatore, lo storico monsignor Iginio Rogger scomparso un anno fa, per il quale un museo diocesano deve essere un luogo d’incontro anche fra le culture, un ponte fra chi crede e chi non crede, senza chiudersi in se stesso».Lei è la prima donna, primo presidente laico, ad essere chiamata alla guida dell’Amei. Come ha «convinto» i colleghi?«Ho lavorato gli ultimi 5 anni nel direttivo in sintonia con monsignor Giancarlo Santi, presidente uscente, che ha aperto una strada. Ho insistito su tre direzioni: la competenza del personale, ma anche dei volontari, altrimenti diamo impressione di precarietà; la relazione col territorio, soprattutto laddove si possono fare ricerche e iniziative espositive a partire dal ricco inventario diocesano; lo sviluppo dell’attività didattica, non solo per le scuole». Una delle caratteristiche distintive dei Musei ecclesiastici, secondo lei, dovrebbe essere l’attenzione ai pubblici svantaggiati. Da dove nasce quest’idea?«Dalle esperienze positive. Ora stiamo lavorando con soggetti autistici e le loro famiglie, qualche anno fa abbiamo realizzato un percorso con 11 donne in cura dal Centro di Salute Mentale di Trento per un laboratorio manuale sugli arazzi. Alcune ci vengono ancora a trovare e una di loro ha scritto una poesia su quest’esperienza, che non è significativa per i numeri, ma per la qualità del rapporto col territorio. Un’attenzione che non è da vantare come fiore all’occhiello, ma richiede preparazione specifica per lavorare bene con le persone disabili».Non solo conservazione del passato, quindi. Del resto, all’arte sacra contemporanea già una decina di Musei diocesani ha rivolto attenzione…«Sì, qualcosa si muove, ma c’è la tendenza a riprendere schemi neogotici, neobizantini o neoromanici, ripetendo stancamente forme e linguaggi che non aderiscono alla sensibilità del nostro tempo. Dedicheremo al tema il decimo convegno nazionale a Palermo nel prossimo novembre, grazie anche al contributo portato nel nuovo direttivo dell’Amei da padre Andrea Dell’Asta, pioniere di questo dialogo con l’arte contemporanea a Milano nella Galleria San Fedele».Da dove partire?«Gli stessi Musei, come committenti, possono dare grande impulso in questa ricerca. "Bisogna avere il coraggio – e qui cito Papa Francesco nella Evangelii Gaudium – di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali, comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmene attraenti per gli altri».Come vede il rapporto con gli artisti cattolici?«Il dialogo deve crescere. Insieme dobbiamo rafforzare la rete delle nostre realtà grandi e piccoli, più di un migliaio in Italia. Questa crescita ci consentirà di dialogare alla pari anche con i musei statali e ci darà quella visibilità che le prime due edizioni delle Giornate annuali – la prossima è in programma il 7-8 marzo – hanno favorito: a Trento lo scorso anno in due giorni entrarono ben 1300 persone».La sua carriera – fin dagli studi in museologia a Venezia, poi a Firenze – è segnata dalla passione museale. Con quale immagine descriverebbe il museo di oggi?«Come un luogo che attraverso l’arte mi aiuta a riflettere sulla mia vita. Un luogo di ricerca, anche interiore. Nelle attività didattiche con i bambini cerchiamo sempre l’aggancio con la realtà quotidiana perché – diciamo loro – un’opera d’arte può entrare nella tua vita e aiutarti a capire. A proposito di quest’apertura, soltanto 15 anni fa le nostre iniziative venivano girate dai dirigenti scolastici solo agli insegnanti di religione. Non è più così, perché hanno capito l’apertura interdisciplinare, anche ecumenica e interconfessionale, che richiama tante classi. Molti alunni tornano poi con le loro famiglie».
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