venerdì 27 novembre 2020
Parla il grande violinista che fu un ottimo portiere nelle giovanili del Napoli: «Quel gol su punizione alla mia Juve? Un virtuosismo contro le leggi della fisica, purtroppo non bissato nella vita»
Il violinista napoletano Salvatore Accardo

Il violinista napoletano Salvatore Accardo

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Come Paganini. Parola di Salvatore Accardo, che di calcio s’intende come di violini. E quelli che suona incantando si chiamano Stradivari e Guarneri del Gesù. «Quel gol su punizione al San Paolo nel ’95 contro la mia Juve è stato una cosa pazzesca, un virtuosismo degno di Paganini che ha sfidato le leggi stesse della fisica – dice il grande violinista napoletano nato a Torino, che da ragazzo è stato portiere di belle speranze nelle giovanili del Napoli –. Ma Diego quel gol sapeva di poterlo fare, non gli è certo venuto per caso. Così come i virtuosismi del più grande violinista, frutto sì di estro e istinto personale ma anche di grande lavoro e studio. Idem Maradona, con le sue ore e ore di palleggi. La palla era il suo violino». Le corde del violino come quelle dell’anima calcistica del Pibe de oro, tanto grande quanto fragile. Una duplicità insita in quella sua natura eruttiva che non poteva non fargli scegliere la città del Vesuvio.

«Una grandezza calcistica che a tali livelli Diego poteva esprimere soltanto a Napoli, a cui era molto legato anche perché è la città più vicina a Buenos Aires dal punto di vista del carattere popolare e del modo di vedere le cose. Io sono stato molte volte a Buenos Aires – racconta Accardo – e mi sono sempre trovato come a casa. Del resto è una città piena di italiani del Sud e di napoletani in particolare. Una Napoli d’oltreoceano. Ma Napoli ha le sue grandi contraddizioni. È una delle città più belle del mondo, abitata da persone straordinarie ma anche da una diffusa delinquenza, quella che purtroppo si è un po’ impadronita di Maradona». Fatale vulnerabilità come contraltare di un’assoluta genialità calcistica.

E se Diego anziché a Napoli fosse approdato alla sabauda realtà organizzativa e gestionale della Vecchia Signora? «Se dopo Barcellona fosse andato alla mia Juventus, società quadrata e severa, avrebbe forse potuto governare questa sua personale zona oscura. Senonché lui alla Juve non ci sarebbe comunque mai venuto, perché sapeva benissimo quello che avrebbe trovato. Forse al Milan o all’Inter avrebbe fatto meno fatica, ma è probabile che in ogni caso fuori da Napoli non sarebbe stato così grande, non sarebbe diventato il Maradona che conosciamo. Con il pubblico e il popolo napoletano lui era un tutt’uno. Nel bene e nel male».

Anima generosa, ma disordinata. Slanci passionali e cadute. «Napoli ha caricato su Maradona tutti i propri desideri di rivalsa sociale e Diego, essendo una persona molto altruista, ha sempre cercato di riscattare i più deboli e i più poveri. Così oltre a vincere scudetti andava per solidarietà a giocare sui campetti di periferia. Aveva un’anima proletaria. Purtroppo non glien’è importato niente di se stesso come uomo e si è distrutto con le sue mani. Anche con i figli non è stato un padre esemplare, mentre pare che sia stato negli ultimi tempi un ottimo nonno».

Rivalsa e sberleffo, come dopo il conflitto militare delle Falkland. Sconfitta vendicata da par suo nell’86 con quel secondo gol dribblando l’Inghilterra. «È stato commovente vederlo fare tutto ciò col pallone attaccato ai piedi dopo un gol di mano che ingannò tutti ma non il povero portiere inglese Shilton, a cui Diego non ha mai sentito il bisogno di chiedere scusa».

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