giovedì 15 gennaio 2015
Ieri il triste «Penultimo pranzo» di Padova. Il 21 gennaio incontro con il Dap. GUARDA LE VIDEOINTERVISTE
COMMENTA E CONDIVIDI
Che sia un addio i 150 commensali invitati lo comprendono appieno a fine pranzo, quando in un silenzio commosso i venti detenuti si spogliano della casacca bianca da cuoco indossata per dieci anni e vestono quella ruvida e marrone da carcerato. Sono le battute finali di quella che al carcere 'Due Palazzi' di Padova ieri hanno chiamato 'Il penultimo pranzo', non una protesta, chiariscono subito, ma «una giornata di speranza testimoniata ». Per un decennio, dal 2004 ad oggi, in dieci carceri italiane il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha fatto partire una sperimentazione senza precedenti, affidando la gestione delle cucine a cooperative che fanno lavorare i detenuti. «Chi sconta la pena vegetando per anni tra noia e ozio nel 68% dei casi torna a delinquere – ricorda Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto –, invece dove ai detenuti si dà lavoro vero, la recidiva crolla al 2%». Inoltre i carcerati, assunti regolarmente dalle cooperative, con il proprio sti- pendio (circa 800 euro) mantenevano la famiglia a casa, pagavano le tasse come ogni cittadino e soprattutto risarcivano le spese di soggiorno in carcere. Eppure a una buona prassi, in teoria destinata ad estendersi, il ministero della Giustizia ha detto no: domani saranno gli stessi detenuti a restituire le chiavi delle cucine all’amministrazione penitenziaria, che tornerà a gestirle esattamente come avveniva dieci anni fa. A lavorarci saranno sempre i detenuti, solo che «non saranno più dipendenti delle Cooperative, ma nostri », spiega il direttore del 'Due Palazzi', Salvatore Pirruccio.
«Non vi preoccupate, andremo avanti come prima, mangerete anche venerdì», prova a scherzare. In realtà cambia tutto: un taglio dei fondi del 34% determinerà immediatamente che anche un terzo dei detenuti resterà senza impiego e quel 'lavoro vero', così determinante per la rinascita, lascerà il posto ai cosiddetti 'lavori domestici', (cuciniere, scopino, spesino, lavapiatti...), sottopagati e privi di professionalità: «In effetti la mercede è pari ai due terzi del contratto collettivo nazionale del lavoro fermo al 1993 – ammette il direttore- quando con 10mila lire si faceva la spesa». Il 'Penultimo pranzo', insomma, è parecchio triste, ma i detenuti servono a tavola con gentilezza impeccabile. Il menù è quello delle grandi occasioni. Ai tavoli le autorità militari, civili e religiose della città.
«Stamattina ho firmato le sedici lettere di licenziamento per i cuochi – racconta con voce rotta Luca Passarin, del Consorzio Giotto – e posso assicurarvi che ho firmato sedici condanne». A definire i contorni surreali della vicenda arriva un messaggio del presidente del Veneto, Luca Zaia: «Trovo assurda, ingiusta e improvvida la decisione del ministero. La civiltà poggia su due cardini: la certezza della pena e il carcere come riabilitazione sociale». «È solo questione di tagli, mancano i soldi», spiega il direttore del carcere... ma se un detenuto costa allo Stato 250 euro al giorno, quanto si risparmia facendo sì che non torni a delinquere? Federico è ergastolano, non uscirà, ma la sua è vita, comunque: «Questo lavoro è servito a me e alla mia famiglia. Io ringrazio quei civili che mi hanno trattato da persona».
Valentino è nigeriano, dal 2008 recluso: «Qui ho imparato cose che nessuno potrà più togliermi ». Pasquale, sardo, è qui da 15 anni: «Alla tivù ieri dicevano che in Italia sono stati investiti 200 milioni di euro per i canili. E per noi che siamo uomini non si trovano?». Gli fa eco Bledar, albanese, «per la prima volta qui ho provato a lavorare, non lo avevo mai fatto. Bisogna reinserire i cani randagi, va bene, e noi?». Elio, della famosa Pasticceria Giotto interna al carcere (e non a rischio, almeno per ora) è solidale con i compagni: «Un ragazzo uscito l’anno scorso si è aperto una pasticceria in Albania. Non tornerà a rubare ». Il prefetto, Patrizia Impresa, spera ancora: «Voglio tornare qui ospite di questa cucina, di questa cooperativa. Una realtà come questa non deve cessare... ». Uno spiraglio c’è, anche se minimo: il 21 gennaio – fa sapere il deputato pd Edoardo Patriarca, guida del Centro nazionale volontariato – il nuovo presidente del Dap, Santi Consolo, ha convocato nuovamente le Cooperative. Sul maxischermo passano le immagini di Papa Francesco: «Per favore, non lasciatevi rubare la speranza».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: