giovedì 16 febbraio 2017
Il 23 marzo alla Camera un forum delle associazioni per chiedere all'Onu di dichiarare la maternità surrogata una pratica contro i diritti universali delle donne e dei bambini
Manifestazione a Parigi contro l'utero in affitto

Manifestazione a Parigi contro l'utero in affitto

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Ci saranno intellettuali e politici, esponenti della galassia femminista internazionale e del mondo cattolico, donne e uomini. Per dire no alla Gpa, sigla che sta per «Gestazione per altri». Oppure maternità surrogata. O, ancora, utero in affitto. Pratica vietata in Italia ma ottenibile in molti Paesi del mondo: dunque un divieto facilmente aggirabile finché ci saranno corpi di donne, principalmente povere, da prendere a nolo. Ed è questo che succederà a Roma il 23 marzo alla Camera: un incontro dalle diverse anime, patrocinato dall’associazione «Se non ora quando-Libere», che si concluderà con una formale richiesta all’Onu di considerare la Gpa una pratica che va contro i diritti universali delle donne e dei bambini. Bypassare le legislazioni nazionali «permissive», dunque, per chiedere che questa notazione sia inserita nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw), adottata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore due anni più tardi.Dopo la discesa in campo delle femministe francesi con le grande assise del febbraio 2016, convocate tra le altre da Syilviane Agacinski (a Roma ci sarà anche lei), ora tocca all’Italia mobilitarsi.

Il programma e i partecipanti all’incontro del 23 marzo saranno presentati nei prossimi giorni, ma intanto Francesca Izzo, già deputata e promotrice di «Se non ora quando-Libere», spiega che è chiaro che i divieti nazionali alla surrogata non servono a molto: numerosi bambini continuano a essere «ordinati» anche da cittadini italiani a donne di Paesi stranieri in cui è consentito, violando quindi il divieto imposto dal comma 6, articolo 12 della legge 40 sulla fecondazione assistita. L’Italia dunque si rivolge all’Onu, ma prima di tutto si impegna in una battaglia cultuale, che raccoglie adesioni in diversi settori della società e della politica. Pochi anni sono trascorsi da quando la mobilitazione femminista è iniziata, e a chi la scoraggiava dicendo che contro il mercato le battaglie sono vane, oggi Francesca Izzo risponde elencando una serie di successi: «No, non è stato tempo perso. Il clima mi sembra cambiato in tutta Europa. Dopo la sottoscrizione della Carta di Parigi, grazie anche all’impegno italiano, nell’ottobre 2016 è stata bloccata in Consiglio d’Europa il Rapporto De Sutter (che raccomandava di introdurre forme di regolamentazione della Gestazione per altri, ndr). Poi, un mese fa, c’è stata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dato ragione all’Italia su un caso di maternità surrogata effettuata all’estero...».

Sottotono, occorre ammetterlo, la voce della politica italiana. Giusto un anno fa Angelino Alfano annunciò che il suo partito (Ncd) era al lavoro su un disegno di legge per considerare l’utero in affitto un reato universale, dunque perseguibile anche se commesso da cittadini italiani all’estero. Non se ne parlò più molto. «Sì, la sponda politica di questa battaglia è minoritaria: la si considera divisiva», ammette Izzo. Divisiva perché ci sono di mezzo i bambini, e come si fa a dire no a una nuova vita? Il 90% delle coppie che ricorre alla surrogata all’estero è eterosessuale (le coppie gay, nonostante la grancassa, sono il restante 10%) e dunque è poco «popolare» pensare di impedire a una donna e a un uomo di diventare genitori, nonostante esistano altre strade per coronare questo progetto. Proprio su questo tasto batte Eleonora Cimbro, giovane deputata milanese del Pd, madre di 4 figli, in prima fila nella battaglia contro la maternità surrogata e tra i partecipanti all’incontro del 23 marzo: «Nel mio partito tante donne (e uomini) ritengono che la maternità surrogata sia del tutto sbagliata, che vi sia in essa una inaccettabile mercificazione del corpo della donna. Vogliamo sensibilizzare le coppie a capire che la genitorialità non può arrivare con questa modalità. Dobbiamo aiutare altri percorsi, l’adozione prima di tutto».Pochi giorni prima dell’appuntamento romano, a Milano ci sarà un’altra tappa importante: l’incontro organizzato dalla neonata rete Rua, sigla per Resistenza all’utero in affitto («Ma ruah è anche spirito in ebraico», precisa una delle fondatrici, la saggista Marina Terragni, fresca autrice di Temporary Mother. Utero in affitto e mercato dei figli).

Se alla Camera ci si rivolgerà all’Onu e si faranno ragionamenti su maternità, sfruttamento della donna e libertà, a Milano il 16 marzo alla Casa dei diritti (ore 20.30, via de Amicis, «Il mercato della gravidanza non è un diritto») si metteranno a fuoco i possibili strumenti giuridici per contrastare la pratica dell’utero in affitto realizzata all’estero e dunque «importata» in Italia attraverso i bambini nati. Per esempio, una sorta di «stepchild adoption tombale»: regolarizzazione di chi è già nato, stop assoluto a chi verrà dopo. «È una possibilità su cui lavorare – spiega Terragni –. Non si può legittimare l’idea che il miglior interesse per il bambino sia quello di essere separato per sempre dalla madre che l’ha partorito». E infine un’esortazione all’Europa, «madre del mondo»: in questo momento di frantumazione, non potrebbe essere proprio la difesa dei diritti umani, da quelli dei migranti a quelli delle madri e dei bambini, «la nuova identità forte dell’Europa unita»? Una bella sfida.

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