giovedì 2 ottobre 2014
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Non passa settimana ormai senza che da ogni parte del mondo giungano notizie – molto spesso contrastanti, quasi sempre preoccupanti – relative al mercato globale del "bimbo in braccio" tramite utero in affitto. Al tentativo di piantare paletti normativi che arginino il mercato di gameti e pance corrispondono provvedimenti nella direzione opposta negli Stati che decidono di inserirsi nel ricco business del figlio su ordinazione. È il caso del Messico, di cui si è recentemente occupato un reportage del Guardian che parlava di boom degli uteri in affitto. In particolare il quotidiano inglese identificava nello Stato meridionale di Tobasco il nuovo fulcro mondiale per la maternità surrogata, proprio a causa del tentativo di India e Thailandia di imporre regole più restrittive. La sorte delle ragazze messicane è del tutto analoga a quella delle giovani asiatiche, come ha raccontato Nancy, che per l’equivalente di 7mila sterline (9mila euro) ha concesso il proprio utero a una coppia gay di San Francisco. Nancy ha dovuto lottare per ottenere il suo compenso, dopo essere stata abbandonata dall’agenzia che l’aveva reclutata e ingiustamente accusata di pretendere denaro oltre quanto pattuito: «Volevo solo i miei soldi, andare a casa, riposare e dimenticare tutto». «Sì, è come uno stipendio, ma è consentito solo a patto che non lo chiamiamo così» ha affermato un portavoce dell’agenzia New Life Mexico in merito ai 13mila dollari (10mila euro) pagati a ogni madre surrogata. «Ci sono buone e cattive agenzie», secondo quanto raccontato al Guardian da un’infermiera. Non tutte mantengono le promesse fatte alle donne, ma ognuna di esse evidentemente garantisce a chi ordina il bambino servizi a basso costo. In alcuni Stati Usa la maternità surrogata è legale ma costosa (fino a 100mila dollari) e quindi in molti preferiscono guardare al più economico Messico, reso appetibile dalle leggi permissive anche per i cittadini australiani, finora più attratti da India e Thailandia. La sensazione è quella di una parte ricca del pianeta che, in preda alla sbornia del "diritto al figlio" e impantanata nelle questioni legali, si rivolge senza scrupoli laddove i mezzi produttivi – ovvero le donne – sono reperibili al minor costo e senza troppi ostacoli burocratici. A costo di correre rischi, come ha raccontato Thomas Chomko relativamente a quanto accaduto a lui e al compagno. Claudia, che ha portato in grembo il bambino che adesso vive con la coppia gay, era stata ingaggiata da un’agenzia poi fallita durante la gravidanza. Il neonato ha passato tre settimane in terapia intensiva, a causa di un’infezione dovuta con ogni probabilità agli scarsi controlli sanitari sulla madre surrogata. Intanto in India, dove fin dal 2012 si susseguono tentativi di controllare il mercato degli uteri concretizzatisi in una maggior rigidità nel rilascio dei permessi di soggiorno per motivi medici, la regione di Maharashtra si è dotata di vere e proprie linee guida. L’obiettivo è tramutare in legge le regole che vi sono contenute: la coppia che intende ricorrere all’affitto di un utero deve essere sposata da almeno due anni, avere una diagnosi di infertilità e una dichiarazione dell’ambasciata circa la possibilità per il nascituro di ottenere un regolare passaporto. Anche in Thailandia è allo studio una legge la cui ossatura prevede che la maternità surrogata sia possibile per le coppie sposate, eterosessuali e sterili e solo su base altruistica. Un tentativo di porre fine allo sfruttamento delle donne che sarà preceduto, secondo quanto dichiarato dalla giunta militare che guida il Paese, da un periodo transitorio per consentire a chi ha già avviato le pratiche di portarle a termine.

In Europa le notizie più recenti arrivano dall’Irlanda, dove dal disegno di legge sul nuovo diritto di famiglia sono stati eliminati tutti i riferimenti alla maternità surrogata e in particolare il divieto di riconoscere compensi alle donne. La scelta è stata giustificata dal governo con l’incertezza relativa a un caso attualmente all’esame della Corte Suprema: due gemelli nati da utero in affitto per i quali si deve decidere chi, tra la gestante e la donatrice dell’ovulo, sia la madre che ha diritto a registrarli all’anagrafe. Al contrario, dall’Australia, continuano a giungere insistenti richieste per una regolamentazione che riduca al minimo la zona grigia della maternità surrogata. Ad esprimersi in tal senso è Megan Mitchell, Commissario nazionale per l’infanzia. In un editoriale apparso sul tabloid Newcastle Herald, la Mitchell ha messo in guardia dal rischio concreto che l’utero in affitto possa diventare un mezzo col quale i pedofili si procurano bambini. Il commissario ha fatto riferimento al caso dell’australiano, padre di due gemelle avute grazie a una donna thailandese, arrestato con l’accusa di abusi sessuali sulle bimbe.

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