
Rinvio in extremis al 10 febbraio per la legge toscana sul suicidio assistito, che doveva andare ieri al voto del Consiglio regionale. Dopo il via libera mercoledì 22 in Commissione della proposta di legge d’iniziativa popolare depositata dall’associazione Luca Coscioni (“Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”) alcuni consiglieri hanno chiesto più tempo per confrontarsi con un testo che, se approvato, farebbe della Toscana la prima Regione in Italia a dotarsi di una legge sul suicidio assistito: in assenza ancora di una disciplina nazionale, di fatto si tratterebbe del primo provvedimento in Italia nel quale si contempla l’accesso a una procedura di morte a cura del Servizio sanitario pubblico. Un passo grave e molto contestato, sul quale ci sono forti dubbi di costituzionalità: la vita e la morte di un cittadino è infatti materia della quale dovrebbe occuparsi il Parlamento e non un Consiglio regionale. Impensabile infatti che in Italia si possa creare uno scenario con Regioni nelle quali il suicidio assistito è legale mentre in altre è ancora sottoposto al Codice penale, in palese contrasto con la certezza del diritto sui fondamenti dell’ordinamento giuridico.
Questo pesante dubbio di legittimità costituzionale (che nel caso di varo della legge toscana darebbe quasi certamente origine all’impugnazione della norma da parte del Governo davanti alla Consulta) si aggiunge alla riserva etica sull’introduzione della morte come servizio che la sanità pubblica sarebbe tenuta a erogare: un principio che confligge con il dovere costituzionale dello Stato di garantire la salute dei cittadini (articolo 32). Semmai, fanno notare i critici del disegno di legge, le istituzioni sanitarie regionali dovrebbero impegnarsi per assicurare l’efficacia e l’universalità delle cure, in assenza delle quali possono nascere le tentazioni suicidarie che ora si vorrebbero assecondare, anteponendo l’aiuto a morire al diritto alla salute.
Tra chi muove obiezioni antropologiche e giuridiche alla legge le più battagliere sono alcune associazioni d’ispirazione cristiana, raccolte nel network “Ditelo sui tetti” che hanno diffuso un «Appello ai cattolici» perché «la Toscana fermi la cultura dello scarto». L’appello definisce la proposta «gravemente sbagliata» perché «ogni legge di questo tipo ha condizionato in senso fortemente individualista la mentalità generale, facendo ritenere inutili le esistenze malate e fragili». Inoltre, notano le associazioni, «la sentenza della Corte 242/19 (che depenalizza a precise condizioni alcuni casi di aiuto al suicidio; ndr) ha espressamente escluso che ci possa essere un obbligo di dare la morte da parte della Sanità pubblica, che, invece, deve essere orientata solo alla cura e dovrebbe finalmente assicurare a tutti quel diritto alle cure palliative che è ancora gravemente inattuato in troppi territori italiani, Toscana compresa».
L’appello ricorda infine che «le Regioni non hanno alcuna competenza legislativa in materia di fine vita». «I vescovi italiani – fanno notare le realtà associative laicali – hanno appena incoraggiato l’interessante ripresa di un impegno dei cattolici nella res publica». Ora, «nell’imminenza di un gravissimo crinale di una deriva contro i fragili, serve il contributo di tutti per un dialogo chiaro in favore dei più deboli». Di qui l’«appello a tutti gli amici cattolici perché ognuno – come già molti hanno fatto – chieda pubblicamente ai consiglieri regionali della Toscana di dare spazio alle ragioni oggettive che sconsigliano un voto regionale». La posta in gioco è altissima: «Se proprio la Toscana introducesse un inedito e totalmente inaccettabile federalismo della vita e della morte, il bene comune di tutto il popolo italiano sarebbe gravemente aggredito».
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