giovedì 31 maggio 2018
A 40 anni dalla legge 194, i ragazzi sanno cosa vuol dire fermare una gravidanza. Ma cercano risposte online e in farmacia
Giovani, meno aborti ma è boom di pillole e di richieste online
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Quarant’anni dopo la 194, i giovani oggi sanno bene cos’è l’aborto, e non lo scelgono mai a cuor leggero. Ma di fronte a una gravidanza inattesa prevale la paura di dirlo ai genitori, il timore di dover interrompere gli studi, o il percorso lavorativo appena avviato. E le pillole dei giorni dopo, ormai di facile reperibilità, diventano la soluzione più comoda. «Abortire per le ragazze è una scelta di grande solitudine, vissuta in silenzio – racconta Irene Pivetta, 24 anni, responsabile nazionale giovani del Movimento per la vita –. Con l’avvento delle pillole dei giorni dopo è pericolosamente cresciuta una sorta di non consapevolezza: davanti a un 'rischio di gravidanza' il tempo in cui la ragazza è portata a riflettere è annullato vista la facilità con cui è possibile acquistare le pillole in farmacia, anche senza ricetta. Non c’è nemmeno il tempo di scoprirsi incinta, di dover fissare l’appuntamento per l’aborto, e di potersi aprire a incertezze, a dubbi, a domande. Quella delle pillole è una via che d’uscita che tenta molte ragazze».

Per fortuna esiste anche un’altra strada: «Quando decidono di aprirsi alla famiglie o trovano aiuto nel proprio contesto sociale – prosegue Irene – capiscono che portare avanti l’eventuale gravidanza sarebbe una scelta coraggiosa e senz’altro meno dolorosa. I giovani vanno responsabilizzati e resi consapevoli che l’aborto è un’esperienza che poi lascia cicatrici nella vita. Ma serve chi sta attorno ai giovani sia presente, sappia ascoltare e accogliere». Spesso «giovanissime, universitarie, lavoratrici precarie, e con alle spalle relazioni instabili, ci contattano perché non sanno cosa scegliere – aggiunge Cristina Forestiero, 29 anni, responsabile regionale giovani Mpv della Calabria e vicepresidente del Mpv e del Cav di Cetraro, nel Cosentino –. Un po’ per la solitudine, o per l’assenza di un compagno, si sentono senza via d’uscita. Sanno cos’è l’aborto, sono combattute, vorrebbero evitarlo, ma non vedono una soluzione. Però chiedono ascolto, indipendentemente dalle loro scelte».

Di solito non si tratta di giovani disinformate: «Grazie alle tecnologie digitali ormai è possibile vedere un bambino sin dai primi mesi di vita – precisa Cristina –, quindi sanno che abortire equivale a sopprimere una vita umana. E proprio per questo chi lo fa poi ha una ricaduta psicologia pesante». Ma sono prese dal timore che la loro gravidanza si venga a sapere, e così preferiscono chiedere aiuto – spesso in forma anonima – alle chat online. «Hanno paura di non essere accettate dalla società, dalla famiglia, di non poteri più realizzare – racconta Matteo Cioè, 26 anni, responsabile giovani del Mpv Lazio e volontario del servizio 'Sos vita Web'– . Nessuno sembra convinto di quello che vuole fare, anche se poi scelgono l’interruzione». Le ragazze sentono il bisogno di capire, di trovare risposte. «Non hanno un’informazione corretta non solo rispetto alle pillole dei giorni dopo ma anche dei contraccettivi – osserva Matteo –. Sono propensi piuttosto a seguire la tendenza culturale. Si tratta spesso di ragazze giovanissime, intorno ai 16 anni, prese dalla paura di non saper affrontare la situazione. Per questo è necessario che nelle scuole si educhi all’affettività. I ragazzi hanno bisogno di ascolto e accompagnamento».

È quel che si evince anche dai dati del Mini- stero della Salute: nel 2016 sono state 189.589 le confezioni vendute della pillola dei 5 giorni dopo, l’Ulipristal acetato (16.797 nel 2014 e 145.101 nel 2015), mentre il Levonorgestrel (Norlevo), noto come 'pillola del giorno dopo', nel 2016 ha toccato quota 214.532 (161.888 nel 2015). «L’aborto è stato banalizzato – spiega Andrea Natale, ginecologo dell’Ospedale Macedonio Melloni di Milano –. Visto che queste pillole se le possono andare a comprare in farmacia, le ragazze non le vediamo. Prima invece al Pronto Soccorso c’era la fila». La conseguenza più immediata è che spesso le giovani donne che ne fanno uso non si pongono nemmeno il problema di eventuali rischi per la salute. «La stessa molecola dell’Ulipristal acetato – mette in guardia Natale – a dosi molto inferiori, ossia 5 milligrammi al giorno, che noi utilizzavamo soprattutto per le perdite di sangue di pazienti con fibromi, lo scorso febbraio è stata bloccata perché sono stati segnalati problemi al fegato. Cautelativamente quindi non possiamo più prescriverla. Per la pillola dei 5 giorni dopo, invece, in 30 milligrammi, seppure non risulti sia mai successo nulla, non è stato usato lo stesso metro cautelativo: e infatti continua a essere utilizzata senza prescrizione medica». Ormai per i giovani «l’aspetto della sessualità è completamente separato da tutto il resto – rileva Vittoria Maioli Sanese, psicologa della coppia e della famiglia –. I ragazzi hanno tutti gli strumenti per accedere a conoscenze e a tecniche relative alla sessualità. Ma l’informazione tecnica è slegata dalla coscienza dell’io. Il giovane pensa: 'a me non può succedere per il fatto che io non lo voglio'. Poi c’è la pillola, c’è l’aborto, e quindi possono permettersi una leggerezza, perché tanto hanno il 'paracadute'. Ma quando si trovano di fronte a una gravidanza inattesa vanno nel panico, devono affrontare una situazione che non avevano previsto per sé». Il problema va oltre: «Già in molte coppie – sottolinea Maioli Sanese – la nascita di un figlio è slegata dall’amore coniugale, è una decisione che si prende attraverso altri criteri. E i figli questo clima lo assorbono ». Ecco perché non di educazione sessuale a scuola i giovani hanno bisogno oggi ma «di una presenza suggestiva degli adulti in grado di far loro compagnia. Bisogna ri-occuparsi dell’umano vero e riuscire a essere adulti capaci di stare accanto ai giovani per insegnare loro la strada. Dobbiamo toglierli dal recinto in cui mettiamo il cosiddetto mondo giovanile, per stare con loro e vivere insieme a loro».

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