giovedì 29 novembre 2012
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Nella lettera di Filomena Gallo traspare la passione con cui i radicali si dedicano alle cause che promuovono, anche se noi non le condividiamo. Va anzi detto che il loro zelo dovrebbe essere di esempio per gli innumerevoli indifferenti (anche cristiani) che non si curano per nulla delle questioni bioetiche, invece cruciali per il nostro futuro. Resta però il dissenso sugli argomenti espressi. Intanto perché nessun articolo tra quelli citati – inclusa la lettera di Eugenia Roccella con risposta del direttore Marco Tarquinio pubblicata il 23 novembre – si appoggia a «precetti e assolutismi cristiani o evangelici, per non dire cattolici»: non c’è alcun richiamo esplicito al Vangelo o al magistero della Chiesa, bensì un solido e argomentato discorso etico-filosofico. Si chiede l’avvocato Gallo: «Dov’è lo spirito cristiano nell’imporre la sofferenza alla donna, la cui tutela è sancita dalla  legge 194, e ad un bambino?». In pratica, dopo aver contestato ad Avvenire di sostenere ben precise cause bioetiche sulla scorta di precetti cristiani, lo si rimprovera di mancanza di spirito cristiano: una evidente contraddizione.
A parte questo, Avvenire (che assai spesso, giustamente, riporta interventi magisteriali), quando sostiene determinate soluzioni legislative non lo fa per «spirito cristiano» ma soprattutto perché rileva che alcuni beni e diritti vengono calpestati o minacciati, e lo fa anche senza dover scomodare la fede. Ciò detto, certamente è indispensabile essere molto comprensivi e fattivamente solidali verso la sofferenza di chi non riesce ad aver figli, con le coppie cui nascono malati (ma ci sono anche molti genitori di figli con handicap felici di averli così) e verso il dolore di chi nasce con malformazioni o infermità. Correlativamente, la nascita di un bambino di genitori sterili o infertili è un evento gioioso. Il problema, però, è che un fine buono non giustifica mai mezzi che buoni non sono, cioè azioni cattive compiute per conseguirlo.
Ora, lo spartiacque decisivo è sullo status del concepito. Per noi – ancora sulla base di argomenti laici – il concepito è un essere umano, ovviamente meno sviluppato di un adulto, ma essere umano indiscutibilmente resta. Perciò, quando un essere umano è già stato concepito, non metterlo al mondo per "non farlo soffrire" vuol dire uccidere un innocente allo scopo di evitargli dolore. Cosa che allora diverrebbe lecita anche per i disadattati, i depressi, gli emarginati... Infine, la diagnosi pre-impianto, a volte, è causa di patologie, che diversamente il concepito non avrebbe. Per non dire che non di rado è erronea.
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