lunedì 16 agosto 2021
Ottenuto con largo anticipo il minimo di firme fissato dalla Costituzione, l'obiettivo si sposta su quota 750mila. Paglia: farsi carico dei più deboli, non farli morire
Un tavolo per la raccolta delle firme per la legalizzazione dell'eutanasia

Un tavolo per la raccolta delle firme per la legalizzazione dell'eutanasia

COMMENTA E CONDIVIDI

È bastato poco più di un mese e mezzo per raccogliere le 500mila firme per il referendum sull’eutanasia. Ad annunciare il superamento dell’asticella fissata dall’articolo 75 della Costituzione sono il Comitato promotore referendum Eutanasia legale e l’Associazione Luca Coscioni, entrambi organismi radicali, con le voci di Filomena Gallo e Marco Cappato: «Siamo felici di poter comunicare che a oggi sono più di 500mila le persone che hanno firmato il referendum per la legalizzazione dell'eutanasia, stando alle cifre comunicate al Comitato promotore da parte dei gruppi di raccolta firme ai tavoli (430mila firme), alle quali si aggiungono oltre 70mila firme raccolte online e un numero ancora imprecisato di firme raccolte nei Comuni». Nella nota firmata dai dirigenti radicali Filomena Gallo e Marco Cappato si esprime anche «profonda gratitudine per le migliaia di volontarie e volontari che stanno dedicando parte delle proprie vacanze» alla raccolta delle firme.

Ma lo sforzo non si ferma qui: «La raccolta firme – aggiungono i due esponenti radicali – naturalmente prosegue con ancora maggiore forza, con l'obiettivo di raccogliere almeno 750mila firme entro il 30 settembre», data limite della campagna (formalmente iniziata il 1° luglio e che non può protrarsi oltre i tre mesi) «in modo da mettere in sicurezza il risultato da ogni possibilità di errori nella raccolta, ritardi della Pubblica amministrazione e difficoltà nelle operazioni di rientro dei moduli. A oggi, le firme fisicamente già rientrate al Comitato sono 99mila delle quali 48mila già certificate e pronte per la consegna». Dopo la raccolta e la validazione delle firme, sarà la Corte Costituzionale a decidere «se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’articolo 75 della Costituzione siano ammissibili», come recita la legge costituzionale 11 marzo 1953 n.1: un compito che la stessa Carta però circoscrive alla verifica che il tema della consultazione referendaria richiesta non ricada tra quelli vietati dal secondo comma dello stesso articolo 75 («Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali»). Vero che qui di mezzo c’è nientemeno che la vita umana, ma i padri costituenti evidentemente non furono sfiorati dall’idea che qualcuno un giorno potesse pensare di sottoporla a un sì o un no su una scheda referendaria.

Il quesito formulato dai radicali punta ad abrogare parzialmente l'articolo 579 del Codice penale, che oggi punisce sempre l'omicidio del consenziente. In altri termni, in caso di approvazione del referendum e di vittoria nell’urna chi chiederà l’aiuto attivo del Sistema sanitario per porre fine alla sua vita potrà ottenerlo e il personale medico e infermieristico impegnato per far morire il paziente che lo ha chiesto non sarà perseguibile penalmente. Come spiegò l’Associazione Coscioni lanciando la raccolta firme, «si passerebbe dal modello "dell'indisponibilità della vita" al principio della "disponibilità della vita" e dell'autodeterminazione individuale, già introdotto dalla Costituzione, ma che deve essere tradotto in pratica anche per le persone che non siano dipendenti da trattamenti di sostegno vitale», cioè oltre il perimetro tracciato in giudizio dal caso dj Fabo. Col solo intervento abrogativo e in assenza di una legge che circoscriva il presunto "diritto", in pratica tutti potrebbero chiedere e ottenere l’eutanasia e lo Stato avrebbe il dovere di mettere a disposizione le sue strutture sanitarie per dare la morte. Un obbligo che – senza una norma che preveda l’obiezione – si estenderebbe a ospedali e operatori di strutture convenzionate.

La raccolta firme è avanzata di pari passo col procedere alla Camera del confronto sulla nuova legge sul fine vita, indicata come necessaria dalla Corte Costituzionale con la sentenza 242 del 2019, quella del caso Cappato-dj Fabo. La legge dovrebbe tradurre il verdetto col quale la Consulta due anni fa depenalizzò in alcune ben delimitate circostanze l’assistenza al suicidio. Ma per i radicali il suicidio medicalmente assistito non è più sufficiente: «Se nel frattempo il Parlamento avrà la forza diapprovare una legge (come quella ora ferma in Commissione alla Camera) che depenalizzi il cosiddetto "aiuto al suicidio" (articolo 580 del Codice penale), ricalcando la sentenza della Consulta – si legge ancora nella nota Comitato referendario-Coscioni – certamente si tratterà di un passo avanti positivo, ma non si supererà l'utilità del referendum sull'articolo 579». In altri terrmini, o eutanasia o niente. La sentenza del caso Fabo - e quella successiva sul caso Trentini - era solo un gradino verso il vero oibiettivo. E la rapidità con la quale si è tagliato il traguardo – inizialmente ritenuto molto complesso da raggiungere – del mezzo milione di firme, perdipiù in piena estate, fa capire quanto possa far breccia tra la gente l’argomento della "libertà di scelta fino alla fine", perno della comunicazione radicale.

«La mia preoccupazione è davvero profonda – riflette monsignor Vincenzo Paglia, intervistato da Vatican News – perché si sta man mano incuneando nella sensibilità della maggioranza una concezione vitalistica della vita, una concezione giovanilistica e salutistica in base alla quale tutto ciò che non corrisponde a un certo benessere e a una certa concezione di salute viene espulso. C'è la tentazione di una nuova forma di eugenetica: chi non nasce sano, non deve nascere. E insieme con questo c’è una nuova concezione salutistica per la quale chi è nato e non è sano deve morire. È l’eutanasia. Questa è una pericolosa insinuazione che avvelena la cultura. In questo senso, è indispensabile che la Chiesa ricordi a tutti che la fragilità, la debolezza, è parte costitutiva della natura umana e dell'intero creato. E questo richiede che sia urgente un nuovo rapporto di fraternità tra tutti. La debolezza chiede l’urgenza della fraternità perché è nella fraternità che ci si prende cura gli uni degli altri. È nella fraternità che ci si sorregge»

«È triste che si voglia portare il Paese a legalizzare il gesto di dare la morte a un proprio fratello – è il commento di Domenico Menorello, coordinatore di Polis pro persona, il cartello di 70 associazioni cattoliche che da anni si battono contro il "diritto di morire" –. Ma se vi sarà questo referendum sarà un'occasione per interrogarci fino in fondo su quale antropologia troviamo al fondo dell'eutanasia. Sarà un'occasione per dialogare con tutti e chiederci pubblicamente se questa ridotta idea di uomo, che esclude la speranza, sia davvero corrispondente alle esigenze del cuore di ciascuno di noi».

Secondo la senatrice centrista Paola Binetti «la nuova lotta che con tanto impegno i radicali stanno facendo per imporre il paradigma dell'eutanasia dovrebbe far reagire ognuno di noi, chiedendo e pretendendo ben altre cose dal Ssn. I malati di cancro chiedono terapie innovative, possibilmente un vaccino contro il cancro, non la morte».

Antonio Tajani (Forza Italia) si dice «personalmente sono contrario» all’eutanasia: «Sono cattolico e credo che nessuno abbia il diritto di togliere la vita umana a un'altra persona, nemmeno noi stessi, anche se soffriamo». Il quesito peraltro sarebbe «irricevibile» – secondo Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia – perché «aprirebbe una enorme vacatio legis sull’omicidio del consenziente» che «potrebbe essere praticato con qualsiasi modalità e senza motivazioni».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI