lunedì 27 giugno 2022
La sentenza della Corte Suprema americana che nega all'aborto lo status di diritto costituzionale nel giudizio di una protagonista del cattolicesimo sociale impegnato in poltica e nelle istituzioni
Manifestazione pro-vita in California dopo la sentenza della Corte Suprema di Washington

Manifestazione pro-vita in California dopo la sentenza della Corte Suprema di Washington

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Maria Pia Garavaglia, già ministra della Sanità, è vicepresidente uscente del Comitato nazionale di Bioetica.
Dal punto di vista politico, che cosa la sentenza Usa la porta a dire?
Penso che non abbiamo nulla da rimproverarci, ma nemmeno da insegnare. La 194, nonostante i giudizi severi che possiamo esprimere, è una legge che ha certamente ridotto l’aborto clandestino, e questo è un fatto che riguarda la salute della donna, quindi è difficile che si torni indietro. Però quello che da sempre sosteniamo è che la legge ha una prima parte positiva, secondo la quale si devono mettere in campo le azioni che prevengano l’aborto: questa è la parte che non siamo ancora stati capaci di attrezzare, con più consultori, con iniziative di carattere sociale, con asili nido, con l’assistenza alle persone che nascono con disabilità. Perché i motivi per cui in Italia si può interrompere la gravidanza cozzano con uno dei princìpi della nostra Costituzione, secondo il quale «la Repubblica rimuove» quegli ostacoli. Uno dei motivi per cui in Italia si può abortire è di carattere economico: questa è una lesione della Carta costituzionale e una violenza sulle donne, perché i motivi economici non dovrebbero averli. La legge 194 può non essere condivisibile, ma intanto che c’è può operare positivamente solo se la applichiamo tutta, invece è molto più facile risolvere i problemi allo Stato mettendoli sulle spalle della donna, da qui la sua paura per la salute, la paura di un figlio che nasca con delle difficoltà, la paura di problemi economici. In queste condizioni l’“autodeterminazione della donna” è molto forzata.

Eppure portare a galla queste lampanti lacune è impossibile, sembra che a parlarne si voglia azzerare la legge anziché migliorarla e farla rispettare. Quindi non se ne parla proprio.


Se si tocca la 194 è inevitabile che sorga la polemica politica, anche piuttosto dura. Se però incominciamo a lavorare sulla maternità da favorire, probabilmente alcuni di questi scogli che ho citato e che la 194 non sa rimuovere potrebbero essere l’occasione di un dialogo. È noto che ci sono grandi laici che sono stati sfavorevoli nei confronti della 194 – da Norberto Bobbio a Pasolini, a Giuliano Amato, per fare qualche esempio –, perché il problema non è solo della morale cattolica ma riguarda una concezione antropologica della vita. Le vite sono tutte importanti, soprattutto quelle che non hanno nessuna possibilità di trovare difesa se non dal diritto e da una cultura: queste sono le vite che qualificano la civiltà di un Paese. Però abbiamo visto che se apriamo i discorsi di carattere etico in questo momento diventano opportunisticamente divisivi, perché troppa parte della politica italiana non può essere leale nei confronti dei princìpi che i cattolici propongono, troppo spesso li strumentalizzano. A breve avremo una campagna elettorale, i partiti allora non usino gli argomenti etici, facciano solo sapere che cosa intendono fare per l’integrazione socio-sanitaria vera, per gli asili nido, per le diseguaglianze tra i cittadini ricchi e poveri, e lascino alle coscienze il resto, altrimenti tutto diventa non politico ma partitico, cioè di parte: fazione.



A questo proposito, esiste un “diritto” all’aborto?


Mai stato. È una privazione, una sottrazione di qualcosa alle donne, le quali si intestano una grande fatica per risolvere i problemi. Non è un “diritto” non avere un figlio per motivi di salute o economici, è un incidente per molte donne non acculturate, è una sofferenza per molte donne che saprebbero come agire se non fossero impedite da tante condizioni esterne... Tutto ciò che impedisce non è un diritto, è una violenza e una violazione.



Si parla del diritto del più debole, cioè le donne. Ma c’è un altro più debole ancora e lo di dimentica quasi sempre.


Colui che ha diritto a nascere: più debole di così... Non ha scelto lui di venire al mondo e chi potrebbe aiutarlo viene messo in condizione di sopprimerlo.



È l’unico per il quale la Costituzione non vale: Non uccidere, tutti gli uomini sono uguali, hanno gli stessi diritti... Il nascituro abortito è l’unico essere umano davvero “diverso”.


Descrizione perfetta di questa mancanza di copertura giuridica.



Dopo la sentenza Usa, giornaliste e opinioniste quasi unanimi in tivù nel rifiutare qualsiasi dialogo e nel negare il diritto di opinione a chiunque voglia dibattere sull’aborto. Soprattutto censura netta al genere maschile, come se il tema fosse appannaggio delle sole donne...


Già ai tempi, quando la proposta di legge era “Fortuna-Pannella”, due uomini, molti sostenevano che i maschi dovessero solo tacere, e Pannella rispondeva che quando si parla dell’organizzazione sociale e dei grandi temi etici, condivisi o no, il dibattito riguarda l’intera società. Noi sostenevamo non solo che il maschio poteva dire la sua ma che c’è una corresponsabilità, maternità e paternità consapevoli erano il nostro messaggio oppositivo a quello dei radicali abortisti. Oggi mi turba davvero che persone come i giornalisti, che attraverso i media hanno il potere di orientare le opinioni, manchino così di professionalità, rifiutandosi di affrontare a viso aperto i problemi anche più scabrosi, perché significa che non hanno un’idea propria, oppure vogliono piacere a tutti, nel qual caso non hanno un proprio profilo etico. L’aver paura di parlarne significa non avere la volontà di far sapere da che parte si sta.



La politica tutta ha paura a discutere seriamente di aborto, ma in particolare la sinistra: anche chi avrebbe la profondità per farlo, preferisce tacere.


È una debolezza che registro e che mi dispiace, essendo io collocata in quella parte, è come se si temesse di fare un torto alle donne. Ma il torto alle donne lo si fa impedendo loro di scegliere una vita di sessualità e di maternità volute e protette. La sinistra sbaglia a non prendere in mano la situazione, che non è necessariamente divisiva: come detto, la prima parte della 194 è una bella sfida per uno Stato sociale davvero paritario e plurale.



Lei all’inizio ha detto “non si potrà tornare indietro” ma avanti si può andare, cioè far applicare veramente i primi articoli della legge.


Esatto. E sarebbe una battaglia di sinistra! Perché quella è una concezione della società solidale, nella quale saremmo davvero tutti uguali e con pari diritti, dal bambino all’adulto, dalla mamma povera alla mamma ricca.


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