giovedì 14 dicembre 2023
I volontari dell'Associazione Papa Giovanni XXIII rispondono a un numero WhatsApp offrendo ascolto e aiuto. Un libro ora racconta le straordinarie storie delle donne che hanno incontrato
Le voci amiche che salvano dall'aborto
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«A iutatemi! Ho bisogno!». Il terrore di fronte a una gravidanza indesiderata trova solo la forza per un messaggio WhatsApp al numero trovato su Internet. Anche la voce sconosciuta che forse risponderà al telefono basta per sentirsi meno sole, come il naufrago nella notte si aggrappa al salvagente lanciato dalla nave. Trovare o non trovare in quel momento qualcuno che ascolti l’angoscia fa pendere il destino da una parte o dall’altra: sarà vita, sarà morte. Per questo «il numero è attivo 24 ore e se la prima operatrice non risponde la chiamata arriva alla seconda e poi alla terza…», scrive Miriam Granito nella prefazione al suo libro La voce delle donne. Cosa si nasconde dietro la richiesta «Voglio abortire»” (Ed. Sempre), edito dall’associazione Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi.

È un libro scarno, asciutto, non indulge alla retorica e lascia parlare le protagoniste, donne che hanno abortito o che avevano deciso di farlo e si sono fermate prima. E donne che le hanno ascoltate. In queste pagine l’aborto, il tema tabù, l’innominabile e indiscutibile (nel senso proprio che non se ne può parlare), ritrova la sua concretezza di tragedia vissuta sulla pelle delle donne, che non sono assassine, ma insieme ai loro figli sono vittime. Vittime – lo si desume dalle testimonianze – di una legge impunemente inapplicata (la 194 del 1978), della solitudine che le circonda, della errata convinzione che la morte del figlio sia l’unica soluzione e non ci sia alternativa.

«Non era il momento… » Donne che pensano all’aborto, dunque, e per farlo chiamano paradossalmente il servizio Maternità della Papa Giovanni XXIII (WhatsApp 3427457666, numero verde 800-035036). A volte con timore, altre come fiumi in piena. Iniziano a raccontare e dall’altra parte trovano donne che sanno fare le due sole cose utili: esserci ed ascoltare. «Sono Roberta, ho 40 anni, mi stavo separando da mio marito. Ma ho scoperto di essere incinta e mi è crollato il mondo addosso. Proprio non era il momento, avevo appena trovato il lavoro… ». Non era il momento… Quante testimonianze lo documentano: nonostante la legge 194 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”) ammetta l’aborto solo per gravissime condizioni di salute del feto o della madre, in realtà lo si ottiene sempre, basta che non sia il momento e quel bambino non vivrà. Roberta si presenta al consultorio dove per legge dovrebbe ricevere aiuto a rimuovere le cause della dolorosa decisione. Invece «la mia richiesta è stata subito incoraggiata».

Durante l’ecografia sente il rumore prodotto dal cuore del bambino e non se ne libera più, «non riuscivo a metterlo a tacere, mi rendevo conto che stavo per uccidere un bambino», scrive. Così, nel dilemma, fa quel numero di telefono e finalmente si sente capita, «mi diceva quello che avrei voluto sentirmi dire: che sarei stata capace di affrontare la situazione». Lo sapeva bene don Benzi: quando una donna chiede di abortire, in realtà sta chiedendo di essere aiutata. Alla fine Filippo viene al mondo ed è bellissimo, e a volte Roberta guardandolo è assalita dal panico, «come ho potuto pensare di buttarlo via?». Dopo che l’hai conosciuto non te lo spieghi più.

Se il medico ti fa fretta Non occorre essere mostri per voler eliminare il “problema”, basta un compagno che ti dice «vedi tu» (racconto comune a tante ragazze), o una famiglia che ti spiega che “non è il caso di tener-lo”, o peggio un medico che ti fa fretta perché, se ci pensi su, il tempo scade e di fronte al tuo pianto ti garantisce che non è tuo figlio, è un grumo inerte di cellule. La storia di Laura sembra quella di Giobbe: due bambini cresciuti con amore, ma solo lei lavora, il marito è depresso, poi si ammala di tumore, ha il cancro anche il padre e lei cura tutti, ma arriva la pandemia. È allora che si scopre incinta: «Mi chiudo in un mutismo pieno di dolore. Decido, con prepotenza e disamore, di metter fine a questa gravidanza». Ma le notti sono un inferno e una mattina Laura esplode: «Mi sento vuota, dov’è Dio? Chi ha il coraggio di aiutarmi? Sono sola!». Afferra il cellulare e cerca aiuto, trova un numero WhatsApp e senza giri di parole scrive: “Ho bisogno”. «Ho pensato di non ricevere nessuna risposta e invece dopo 10 minuti ecco il messaggio. Non potevo crederci! Qualcuno era disposto ad ascoltarmi». Nasceva così l’amicizia con Teresa, la voce non giudicante che c’era sempre, «anche dieci volte al giorno».

Barbona e spacciatrice, «per tutti ero irrecuperabile» Se come detto impressiona la “facilità” con cui si può abortire, colpisce di più la rapidità con cui si può cambiare idea, non a fronte di chissà quali aiuti, ma in seguito a due sole cose, una promessa e una garanzia: noi non ti lasceremo sola qualsiasi cosa tu decida, e le cose possono cambiare. In quel momento a chi è disperato sembra impossibile che qualcosa possa davvero cambiare, ma affidandosi e consegnando ad altri le proprie fatiche si accetta di provare. Lo ha fatto anche E., «un caso irrecuperabile, almeno così venivo considerata da tutti». Drogata dall’età di 15 anni, a periodi «barbona, spacciatrice, prostituta o carcerata, molto presto sono stata contagiata dall’Hiv». Quando le comunicano che è incinta, è ricoverata tra gli infettivi. Per lei è la sorpresa del miracolo, «mi sembrava quasi impossibile che dentro una come me ci fosse un bambino, questo pensiero mi faceva provare una grande gioia», ma fuori c’era il mondo, feroce, «ero sola, la mia casa era la strada… Ricorderò sempre la dottoressa, mi disse chiaramente che la soluzione giusta era l’aborto, perché avrei fatto nascere solo un infelice, e se anche fosse nato sano non avrei potuto dargli niente. Che se non abortivo ero un’egoista». Più che l’Aids, a calpestarla come donna era un medico donna. Alla decisione di proseguire la gravidanza, la dottoressa si indigna e la dimette, la accoglie la Papa Giovanni XXIII. Oggi il bambino ha 4 anni, è nato sano ed è la salvezza di sua madre, il cui pensiero va alle altre donne che magari non fanno incontri fortunati come lei: «Vorrei tanto che capissero che un bimbo, fin da quando è concepito, è un dono qualunque sia la situazione della mamma, e non si può ammazzarlo».

Spesso bastano modesti contributi C’è anche la testimonianza di un uomo, padre di un figlio mai nato, perché si dimentica troppo spesso che a dargli la vita si è in due. Le più assurde sono le storie in cui l’aborto è indotto da problemi economici (basta il modesto contributo mensile dell’associazione per far cambiare idea a madri e coppie). Il 70% delle donne che si rivolgono alla Papa Giovanni XXIII con l’intenzione di interrompere la gravidanza sono italiane, sole e con altri figli. Il 25% di loro chiede come abortire in casa con la Ru486. E l’11% cambia idea prima dell’irreparabile, anche all’ultimo istante. Nessuna di queste si è pentita, il 100% sono colme di gratitudine per non averlo fatto.

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