
Jacob nel laboratorio del San Raffaele, sostenuto da Telethon, dove viene sviluppata la terapia per la sua malattia rara
Quindici anni fa il primo studio clinico, finanziato da Fondazione Telethon, sulla sindrome di Wiskott-Aldrich (Was), una malattia genetica rara del sistema immunitario. Ora il trattamento, messo a punto grazie all’attività di ricerca dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, potrà essere disponibile per tutti i bambini, ovunque si trovino, se verrà approvata. Telethon ha infatti presentato all’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, la richiesta di autorizzazione all'immissione in commercio della sua terapia genica per la Was. «Questa nuova tappa – spiega il direttore generale della Fondazione, Ilaria Villa – conferma sia la promessa fatta alla comunità dei pazienti e ai donatori di rendere le terapie per malattie rare e ultra-rare accessibili e sostenibili, sia l'impegno della Fondazione ad assumere un ruolo sussidiario rispetto agli operatori industriali, ogni qual volta questa sia la condizione necessaria a garantire l’accessibilità della cura».
Come era già successo per la prima volta in assoluto nel 2023, quando i bambini affetti dalla sindrome di Ada-Scid, una rara immunodeficienza, rischiavano di restare senza trattamento a causa dei costi elevati, anche stavolta Telethon (prima e unica istituzione non profit al mondo a farlo, grazie ai fondi raccolti con le iniziative cui aderiscono milioni di italiani) ha deciso di rendere disponibili le terapie scoperte grazie al lavoro dei propri ricercatori per la sindrome di Wiskott-Aldrich. «Nei prossimi mesi – anticipa Villa – siamo pronti ad avviare questo percorso anche negli Stati Uniti». E così anche i bambini d’oltreoceano che ne sono affetti potranno sottoporsi a un trattamento che evita il rischio di sviluppare malattie autoimmuni e linfomi.
Come è già successo a Jacob Thomas, nato nel New Jersey 15 anni fa. Dopo la diagnosi, a soli 4 mesi, l’unica speranza sarebbe stata il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Ma per Jacob, purtroppo, non c’era un donatore compatibile. E le speranze di cura erano quindi ridotte a zero. «Scoprire che nostro figlio era affetto da una rara immunodeficienza potenzialmente letale è stato devastante – racconta la mamma, Priya –. Jacob ha vissuto in totale isolamento per i suoi primi 20 mesi di vita. Uscivamo soltanto per le visite mediche. Le uniche persone che vedeva erano i suoi nonni e i suoi genitori. Persino i suoi cugini poteva vederli soltanto se erano in perfetta salute. Quando ha iniziato a camminare dovevamo fargli indossare un caschetto per proteggerlo da eventuali ferite alla testa».

Francesca Ferrua - .
Intanto, Jacob entra ed esce dall’ospedale, spesso deve essere intubato, le sue condizioni peggiorano. Fino a quando, però, un medico statunitense propone ai genitori di portare il piccolo in Italia, all’Istituto Sr-Tiget di Milano, dove è in corso un trattamento sperimentale. Per Jacob è l’inizio di una nuova vita. Il 9 giugno del 2011 il piccolo viene sottoposto alla terapia genica. E finalmente il suo organismo è in grado di produrre la proteina di cui aveva bisogno. «Il nostro incontro con Telethon ha trasformato l’incubo peggiore di un genitore, vedere la vita del proprio figlio in pericolo, nel più bel regalo che potessimo ricevere: una nuova possibilità di vita per lui. Saremo sempre grati al professore Alessandro Aiuti, al suo gruppo e alla Fondazione Telethon per averlo reso possibile», mette nero su bianco in una lettera Priya, che nel frattempo ha ripreso a fare la pediatra e ha deciso di impegnarsi nell’associazione americana per la Wiskott-Aldrich.
L’Italia intanto per Jacob è diventata una seconda casa: ogni anno infatti ritorna dai medici che gli hanno salvato la vita. «Quando è arrivato da noi aveva poco più di un anno e aveva una forma severa di malattia», racconta Francesca Ferrua, immunologa pediatrica all’Ospedale San Raffaele di Milano. Insieme ad Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget), è la referente per la sperimentazione clinica sulla terapia genica per la sindrome di Wisk Wiskott-Aldrich. «È incredibile vederlo ora, a 15 anni – racconta l’immunologa –. Ha sospeso tutte le terapie profilattiche che diamo a questi pazienti per proteggerli, in attesa che il sistema immunitario si ricostituisca. Va a scuola. Ma la cosa più straordinaria è che fa pure snowboard, uno sport che davvero non si immagina possa essere praticato da un bambino con questa malattia».
Jacob cresce senza pensarci più. O meglio, ci penserà quando forse indosserà un camice da medico. «L’ultima volta che è venuto – ricorda Ferrua – ci ha chiesto di visitare i laboratori del Tiget. Gli abbiamo fatto vedere le cellule al microscopio. E ora non esclude l’idea di voler fare il ricercatore». Magari impegnandosi in prima persona per sconfiggere altre malattie. A oggi sono 30 i pazienti con Was trattati con la terapia genica (“etuvetidigene autotemcel”). Per i ricercatori, ora la sfida è poter offrire a chiunque questa opportunità di cura.
«Abbiamo analizzato tutti i dati raccolti fino a oggi e presentato il dossier alle autorità regolatorie europee perché vorremmo permettere a tutti i pazienti che ne necessitano di poter accedere al trattamento – spiega Ferrua –. Attualmente abbiamo ottenuto di poter offrire il trattamento, prima dell’approvazione, grazie a una legge italiana, la 648 del 1996, che permette l’utilizzo di farmaci non ancora approvati sulla base dei dati di efficacia e sicurezza. Questo trattamento per il momento è possibile solo per i pazienti italiani. Ma visto che riceviamo richieste da tutto il mondo, ci farebbe piacere che la cura sia disponibile per tutti».