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Ci sono insegnamenti che non si dimenticano, perché non sono solo concetti trasmessi in aula, ma vita che si fa parola. Così era Carlo Casini. Noi studenti dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”, lo abbiamo avuto come docente del corso “La fine della vita come problema giuridico”. Ogni lezione era un incontro con un uomo integro, appassionato, capace di coniugare rigore giuridico e amore per la vita umana in tutte le sue fasi.
Giurista di alto profilo, magistrato e parlamentare europeo, avrebbe avuto mille motivi per limitare il tempo dedicato all’insegnamento. Eppure non lo ha fatto. Entrava in aula con la semplicità di chi sa che la cultura non è ostentazione, ma servizio. Ci parlava della dignità della vita nascente e morente, dell’embrione come uno di noi, del diritto come strumento non neutro, ma chiamato ad aiutare la verità dell’umano, contro ogni deriva utilitarista o ideologica.
Ricordo la chiarezza con cui illustrava l’articolo 1 del Codice Civile, l’inquadramento del concepito nei rapporti patrimoniali, la questione del consenso e dell’eutanasia, l’analisi delle contraddizioni della modernità sul fine vita, e soprattutto l’impegno con cui ci faceva comprendere che il diritto, se non si fonda sulla verità antropologica, diventa potere travestito da legge.
Mai ideologico, sempre umano. Carlo Casini sapeva distinguere con precisione tra giustizia e giustizialismo, tra diritto e populismo. Le “marce” – lo diceva senza mezzi termini – non bastano, se non sono precedute e accompagnate da un lavoro culturale profondo, fatto di studio, ascolto, rispetto e dialogo.
Aveva un grande rispetto per i consacrati e per i sacerdoti. Ma soprattutto era un credente. La sua fede non era mai sbandierata, ma respirata. La portava nella voce quando difendeva i piccoli, nella compostezza con cui parlava della pena di morte, nel dolore sincero per gli embrioni congelati. Non c’era nulla di retorico in lui: tutto era sobrio, essenziale, coerente.
Ecco perché oggi, mentre tanti parlano di bioetica come campo di battaglia, io penso a Carlo Casini come a un uomo di pace. Un vero “costruttore di cultura per la vita”. E il suo lascito non è un monumento, ma un’eredità viva. Quella di un professore che ci ha insegnato a pensare, amare e rispettare la vita. Tutta. Sempre.
Per questo, chi lo ha conosciuto non può non auspicare che anche la Chiesa, nel tempo opportuno, possa aprire una causa di beatificazione per Carlo Casini, riconoscendo in lui un modello esemplare di laico credente e impegnato. Un uomo che ha cercato Dio con cuore sincero, non solo per sé, ma per ogni piccolo, ogni dimenticato, ogni escluso. Che ha mantenuto fede e umiltà anche quando il prestigio sociale avrebbe potuto allontanarlo dal Vangelo. Un testimone limpido e credibile del Vangelo della vita nel cuore delle istituzioni.