mercoledì 10 febbraio 2016
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Un dottorato in Medicina appena all’inizio, il debito universitario ancora da saldare e l’affitto in arretrato di mesi. Quando l’occhio di Cindy è caduto sull’annuncio nel giornale dell’università per la selezione di «donatrici d’élite» di ovociti dietro ricompensa, non poteva immaginare quello che quel gesto avrebbe significato per la sua salute. È la prima delle testimonianze racchiuse nel documentario Eggsploitation (Sfruttamento di ovociti) – vincitore del primo premio al Film festival della California – che l’associazione ProVita ha mostrato ieri mattina in Senato alla stampa, cercando di fare chiarezza sul mercato di ovociti e della maternità surrogata. «Una coppia cercava una donatrice che aveva le mie caratteristiche e un quoziente intellettivo elevato». Il racconto lucido di Cindy, anche dopo mesi, non nasconde la sofferenza che questa giovane donna continua a vivere. I soldi sono stati la molla decisiva. Dopo il pick-up ha iniziato a star male e, tornata in clinica a San Francisco, «mi hanno detto che avevo una piccola arteria bucata, dovuta all’aspirazione di ovuli, e un litro e mezzo di sangue nell’addome». Operata, intubata, sottoposta a trasfusioni, «viva per miracolo», cerca adesso di convincere le studentesse a non ripetere il suo errore.Negli Usa, infatti, per trovare ovociti basta andare all’università, dove per 10-20mila dollari le ragazze «senza essere informate di nulla, se non che aiuterai con il tuo "dono" altre persone a realizzare il sogno di un figlio», è l’esordio di Alexandra, un’altra vittima americana del mercato di ovociti. Aveva problemi finanziari e cercava di concludere la tesi. Peccato che dopo nove giorni dal trattamento e fitte crescenti «hanno capito che una tuba si era attorcigliata, un ovaio era ormai perso e rischiavo di morire per emorragia». Dopo l’intervento e 12 kg in meno adesso non può più più avere figli. Calla, invece, aveva visto l’annuncio di donazione sul giornale di Stanford. Ora, a vederla su una sedia a rotelle, quasi si fa fatica a pensare che nella foto che mostra ci sia proprio lei. «A una settimana dall’inizio della stimolazione ormonale – gli occhi si fanno lucidi – ho avuto un ictus che mi ha paralizzato la parte destra del corpo». Dopo mesi di ospedale e riabilitazione si è vista arrivare dalla clinica «un assegno di appena 750 dollari come compenso per "ciclo interrotto", perché non avevo portato a termine il mio compito». Invece Jessica e Jasmine possono parlare solo attraverso la voce dei familiari, morte dopo una donazione di ovociti, una di cancro e l’altra d’infarto.Ictus, emorragie, infertilità, maggiore rischio di sviluppare il cancro. La lista delle conseguenze per la salute dietro l’ovodonazione potrebbe continuare. Ma a rischiare non sono solo le donatrici, anche le riceventi e gli stessi bambini. Per le venditrici di ovuli, è provato «l’aumento della possibilità di tumore alla mammella, la perdita della fertilità nell’11,5% dei casi e persino la morte» spiega Pino Noia, docente di medicina perinatale al Policlinico Gemelli e primario dell’Hospice perinatale, mentre per le madri riceventi «l’aumento del rischio di disordini vascolari ipertensivi fino alla placenta accreta e alla perdita dell’utero». Sui nascituri infine, conclude il ginecologo citando studi internazionali «il parto prematuro e la ridotta crescita del feto», con tutti i problemi che ciò comporta per lo sviluppo futuro del neonato.È insomma una «schiavitù del corpo», una «lotta eugenetica incredibile», ammette il presidente di ProVita Antonio Brandi, che il ddl Cirinnà «rischia di alimentare, insieme al business ad essa collegato». Le donne che donano gli ovuli è «una categoria ignorata» e occorre fare «una battaglia di verità» secondo il senatore Lucio Malan (Fi), che spiega come il mercato degli ovuli e i rischi per la salute siano un argomento «di cui non si è parlato mai in commissione». Venti, trenta e fino a 50mila dollari per «un bambino che diventa oggetto e un genitore cliente», gli fa eco il compagno di partito, il senatore Francesco Aracri, mostrando i contratti delle agenzie di maternità surrogata. Con la stepchild adoption «si incentiva tutto questo».
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