sabato 26 marzo 2011
Il 74% degli specialisti favorevole a una norma che facilita il rapporto tra medico e paziente: «Ma deve fornire indicazioni precise». Il presidente dell’associazione italiana di oncologia, Carmelo Iacono: centrale la necessità dell’alleanza terapeutica, stiamo accanto al malato.
- Una legge «giusta» di Michele Aramini
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Sì a una legge sulle direttive anticipate di trattamento («Dat»). Lo dicono gli oncologi che in questi giorni sono riuniti a congresso a Valderice (Trapani) per discutere di dimensione etica della cura. Lo fanno partendo da un questionario – distribuito ai soci Aiom nel 2007 e rilanciato ieri – in cui emergeva un largo favore (74%) da parte della categoria rispetto alla necessità di una legge sulle direttive anticipate. «Favore confermato anche in questa occasione – afferma il presidente della Associazione italiana oncologia medica Carmelo Iacono – perché può essere di aiuto, ma dev’essere una legge chiara che dia indicazioni precise che possono tutelare bene gli attori del problema: paziente, medici e istituzioni deputate». Ma cosa emerge nel dettaglio dal questionario? Innanzitutto si evidenzia una scarsa conoscenza dei documenti in materia: il 56% degli intervistati afferma di non conoscere il parere col quale il Comitato nazionale di bioetica introdusse nel 2003 il concetto di «Dat». Ma ritiene che una legge sia necessaria anche a proposito dell’accanimento terapeutico (64%) e dell’eutanasia (67%). Il 54% sostiene che quanto affermato in condizioni di salute non possa essere applicabile in fase terminale: dunque le Dat non possono essere obbliganti per il medico (solo il 24% si esprime per la vincolatività). E il 63% è convinto che una legge possa facilitare il rapporto medico-malato. Raramente gli oncologi affermano di avere ricevuto direttive anticipate dai malati. Rimane un’ambiguità (64% delle risposte) tra chi afferma che accelerazione della fine della vita ed eutanasia non siano la stessa cosa. Gli oncologi non sono però la sola categoria di medici che si occupano del fine vita e, di certo la malattia tumorale è particolare, visto che il malato mantiene una lucidità per lungo tempo: «Nel nostro caso – spiega ancora Iacono – il rapporto medico-paziente non può che essere quello di un’alleanza terapeutica. Occorre procedere all’unisono e condividere i percorsi aiutando la persona ammalata a operare scelte che aprano la strada a un reale consenso». Attenzione però «a non interpretare la legge come un disimpegno», aggiunge Marco Maltoni, che è palliativista, direttore dell’hospice di Forlimpopoli, e che ogni giorno è a contatto con malati terminali. Maltoni è scettico su alcuni dati più ambigui emersi dal questionario, realizzato prima della vicenda Englaro: «Accanimento terapeutico ed eutanasia non vanno normate, è la nostra deontologia professionale che ci impone di non praticarle mai». C’è da dire che un’altra domanda fa emergere invece come il 46% degli intervistati sia comunque contrario all’eutanasia, mentre il 37% la ritiene possibile solo in casi particolari (e favorevole è solo uno striminzito 16%). Nel dibattito durante il loro congresso gli oncologi aggiorneranno le loro osservazioni in merito al fine vita cercando di raggiungere il consenso su un documento: «Sarà frutto del confronto tra di noi – spiega ancora Iacono – e farà emergere le nostre priorità sulla necessità di una legge. Non lo renderemo noto subito, abbiamo bisogno di tempo per fare in modo che l’elaborazione sia frutto di una condivisione reale».
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