martedì 15 marzo 2011
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La legge sul biotestamento attualmente all’esame del Parlamento «è una buona, necessaria mediazione», fermo restando che «per noi è importante ribadire che in ogni modo la legge tutela un male minore», spiega subito Paolo Ramonda, responsabile generale dell’Associazione Papa Giovanni XXIII (che «da quasi quarant’anni accoglie nelle proprie famiglie e case famiglia persone con ogni genere di disagio sociale, disabilità e patologie spesso gravissime»).La sua riflessione è accorata. «Troppo spesso – ricorda Ramonda – sembra prevalere il concetto di qualità della vita» e «viene messa in discussione la cura fino a lasciar morire». Così pure troppo spesso «viene invocato a sproposito l’accanimento terapeutico, per nascondere il problema reale e quotidiano dell’abbandono terapeutico», che avviene «soprattutto a livello domiciliare e a quasi totale carico delle famiglie». Allora bisognerebbe invece pensare soprattutto «a sostenere quelle stesse famiglie in tutti modi, da quello economico a quello sanitario».C’è un punto sugli altri, poi, che preoccupa molto l’Associazione Papa Giovanni XXIII. «Il testo attualmente in discussione permetterebbe al tutore di scrivere le "Dichiarazioni di trattamento" al posto del paziente quando è minore o disabile, e in quest’ultimo caso senza neppure interpellarlo né coinvolgerlo nella loro redazione», sottolinea Ramonda: «Ma i nostri figli rigenerati nell’amore hanno spesso tutori che non li hanno mai visti» e dunque «il rischio di un testamento ideologizzato e standardizzato è enorme». Quindi «speriamo che non si legiferi per negare le cure, ma piuttosto per garantirle davvero a tutti».Insomma, la speranza di Ramonda e dell’Associazione è che si possa arrivare ad un testo equilibrato: «Comprendiamo benissimo la scelta di chi vuol fare una legge – aggiunge il successore di don Oreste Benzi – e comprendiamo benissimo che il legislatore debba trovare una mediazione, capiamo bene che esistono validissime ragioni per fare questa legge». La questione è diversa: «Semplicemente pensiamo d’avere il dovere di dire che la vita va sempre difesa e che a volte una legge può aprire altri varchi, come proprio quello legato al tutore».Cioè non si dovrebbero mai dimenticare alcuni punti di partenza sui quali costruire questa legge, fra l’altro noti e scientificamente accertati: «Se da sani si aborrisce la sofferenza – spiega Ramonda – una volta che la si vive, il più grande desiderio è di essere curati e amati e non quello di rifiutare le cure». Perciò è «difficile pensare ad un rifiuto delle cure che non sia contestuale al loro necessitarsi, solamente in questo caso infatti si può ipotizzare un consenso davvero informato e una libera scelta».
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