giovedì 6 febbraio 2025
La discussione in alcune Regioni sul progetto di legge per introdurre percorsi sanitari e legali per la morte medicalmente assistita solleva interrogativi etici e giuridici. Eccone tre da comprendere
Il suicidio assistito è già un “diritto”?

foto Lev Dolgachov/IcpOnline

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Dopo alcune Regioni del Nord (ultima la Liguria), ora la Toscana: si discute nei consigli regionali la possibile regolamentazione di un percorso per ottenere il suicidio medicalmente assistito a cura della sanità pubblica invocando le sentenze in materia della Corte costituzionale, e in attesa che si pronunci il Parlamento. Molti gli interrogativi etici e giuridici. Abbiamo provato a riassumerli in queste tre domande e risposte, a cura dell’avvocato Domenico Menorello, componente del Comitato nazionale per la Bioetica.

È vero che il suicidio assistito dopo le sentenze della Corte costituzionale è già legale?
«No. La sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 ha solo tracciato un circoscritto ed eccezionale perimetro in cui l’aiuto al suicidio potrebbe non essere sanzionabile con la reclusione. Ma aiutare una persona a togliersi la vita rimane sempre un’azione in generale illecita, cioè è giudicata con sfavore dall’ordinamento perché non corrispondente al reale “bene”. Basti pensare, ad esempio, che l’articolo 2 della Costituzione chiede a tutti noi “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale” (si badi bene l’aggettivo usato dai padri costituenti...), “solidarietà” che non significa certo supportare un malato a pensare che la sua vita non vale più nulla, tanto da aiutarlo a darsi la morte. Inoltre, l’aiuto al suicidio rimane di per sé un reato per l’articolo 580 del Codice penale, mentre l’articolo 5 del Codice civile dichiara certamente nulli gli atti di disposizione del proprio corpo.

È vero che c’è già un diritto di ottenere dalle istituzioni sanitarie locali la morte medicalmente assistita?
«Altra grave mistificazione. La Consulta espressamente specifica che la sua sentenza n. 242/2019 “si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio” se “nei casi considerati” un medico volontariamente compie una simile azione, quindi “senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici” e dunque al Servizio Sanitario Nazionale e Regionale (cfr. par. 6, sent. 242/19). Invece le proposte dell’Associazione Coscioni travasate nei progetti di legge discussi in diverse Regioni introducono, con la surrettizia giustificazione di chiarire un procedimento, quello che è un vero e proprio illecito obbligo degli ospedali regionali di prestare la morte, snaturando pericolosamente il senso stesso della Sanità Pubblica. Infatti il “compito della Repubblica è porre in essere politiche pubbliche volte a sostenere chi versa in situazioni di fragilità, rimovendo, in tal modo, gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana” (art 3, secondo comma, Costituzione)” (Corte costituzionale n. 135/2024). Ma le terapie del dolore continuano a essere troppo arretrate nel nostro Paese, anche se grazie a recenti disposizioni di legge, le Regioni sono state messe in mora perché non garantiscono quel vero e proprio diritto essenziale che sono le cure palliative».

È vero che le Regioni possono legiferare sulle procedure senza necessità di attendere una legge nazionale?
«Assolutamente no Le Regioni non possono legiferare in materia di fine vita perché entrerebbero certamente in materie che sono di competenza esclusiva dello Stato, quali l’ordinamento civile nel consentire atti di disposizione della vita, l’ordinamento penale nell’intervenire sulla disciplina di cause di non punibilità di un reato quale l’art. 580 del Codice penale, ovvero nella indicazione di Livelli essenziali di assistenza. Il 15 novembre 2023, l’Avvocatura generale dello Stato è stata inequivocabile nell’escludere che il contenuto della proposta dell’Associazione Coscioni, possa essere di competenza regionale. Tant’è che già tre consigli regionali, del Piemonte, del Friuli-Venezia Giulia, della Lombardia, rispettivamente il 21 marzo 2024, il 19 giugno 2024 e il 19 novembre 2024 hanno ritenuto incostituzionale procedere con una disciplina in sede regionale. Va anche notato un paradosso clamoroso quanto silenziato: varie Regioni hanno recentemente impugnato avanti alla Corte costituzionale la legge 26 giugno 2024, n. 8, sulla cosiddetta “autonomia differenziata” contestandone la costituzionalità, perché maggiori competenze locali romperebbero l’unità nazionale, ma ora vogliono il federalismo della cura e delle procedure per dare la morte. Tutto questo, peraltro, mentre il legislatore nazionale sta effettivamente svolgendo un iter in vista di una norma nazionale.

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