mercoledì 18 marzo 2015
Il testo votato con 228 sì e 11 no. Sei mesi per la separazione consensuale, 12 per la giudiziale. Stralciato l’«addio immediato», che rischia di tornare con un ddl.
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Il Senato ha approvato questa mattina a larghissima maggioranza, con 228 sì, 11 no e altrettanti astenuti, il ddl sul divorzio breve. Il provvedimento, che ha subito delle modifiche rispetto al testo originariamente approvato da Montecitorio, torna all'esame della Camera dei deputati.L'iterL’approvazione della legge sul divorzio breve, non scongiura comunque il rischio di un’ulteriore radicalizzazione della norma. Il Senato ha confermato il testo già approvato dalla Camera, sei mesi tra separazione e divorzio, in caso di separazione consensuale, e dodici mesi quando la separazione è invece giudiziale. Ora la legge dovrà tornare alla Camera per la terza lettura, ma difficilmente l’impianto verrà di nuovo modificato. Allo stesso tempo però la norma sul divorzio immediato, stralciata ieri a grande maggioranza, verrà inserita in un ddl autonomo che «verrà immediatamente assegnato alle competenti commissioni parlamentari». E il capogruppo Pd in Senato, Luigi Zanda, ha assicurato l’impegno per sostenere il nuovo ddl e per arrivare «in tempi rapidi all’esame delle commissioni e dell’Aula». Dichiarazione motivata, probabilmente, dall’obiettivo di non scontentare troppo quell’area del suo partito che, sia nei mesi scorsi in commissione sia ieri in Aula, si è battuta allo stremo per non scongiurare l’ipotesi di accantonare definitivamente il "divorzio alla Las Vegas". Lo stesso Zanda ha infatti sottolineato che l’attuazione della nuova legge richiederà i necessari tempi di verifica. E che in ogni caso, per avviare su nuovi binari il convoglio dell’«addio lampo», si dovrà attendere la decisione della Camera. Insomma, al di là delle buone – o cattive – intenzioni, passeranno mesi prima di capire se il divorzio immediato sarà posto su un percorso ad alta velocità oppure finirà su un binario morto. Sarebbe un errore però pensare che il pericolo sia stato definitivamente scongiurato. La decisione di stralciare la norma non è stata indolore. Ieri mattina, prima di arrivare al voto in Aula, il confronto all’interno del Pd è stato accesissimo. Da una parte il gruppo ispirato dal vice capogruppo Stefano Lepri che già nei giorni scorsi, insieme ad una ventina di altri senatori, aveva presentato una serie di emendamenti per introdurre norme preventive finalizzate da un lato a rafforzare il senso di responsabilità dei coniugi, dall’altro ad introdurre provvedimenti come la mediazione familiare e i corsi "laici" di preparazione al matrimonio. Emendamenti, poi stralciati in nome dell’unità del gruppo, che hanno avuto comunque il merito di bilanciare le pretese dell’ala più radicale del Pd. Ieri infatti la relatrice della legge, Rosanna Filippini, ha ribadito che il divorzio diretto è stato messo da parte –  «con rammarico» – con l’unico scopo di non bloccare la norma, ma si è detta convinta che i «tempi lunghi non aiutino le famiglie». Anzi i dati confermano, a suo parere, come sia opportuno puntare sulla «flessibilità delle misure per migliorare la risposta alle crisi coniugali». Peccato che le cifre da lei stessa citate non consentano di arrivare a questa conclusione. Se è vero che in Italia, sulle oltre 93mila separazioni registrate nel 2013, solo in 5.900 casi si è arrivati alla riconciliazione tra i coniugi, forse sarebbe lecito porsi qualche domanda. Se le riconciliazioni, nella più totale indifferenza pubblica, sono risultate circa il sette per cento delle separazioni, perché non immaginare che con un’offerta più articolata sul fronte della mediazione e dei servizi alla coppia, si possa arrivare a raddoppiare quella percentuale? Interrogativi adombrati, pur in forma diversa, anche dal Forum delle associazioni familiari che, in un comunicato, ha fatto notare come «la pausa di riflessione che intercorre tra separazione e divorzio permette ai coniugi di riflettere ancora una volta, magari più approfonditamente, sulle possibilità di riconciliazione». Ecco perché, ha osservato ancora il Forum, «lo Stato non solo deve verificare, attraverso l’intervento di un giudice e non di un semplice impiegato di anagrafe che i coniugi stanno decidendo lo scioglimento in coscienza, senza costrizioni e senza prevaricazioni di una parte sull’altra, ma devono anche saper accompagnare le coppie con servizi consultoriali, percorsi di mediazione, di assistenza sia dei coniugi sia degli eventuali figli. Per questo – conclude il Forum – è importante che venga comunque mantenuto e difeso un periodo di tempo prima dello scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale».
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