
Gezim, il malato trentino di Sla al quale i colleghi di lavoro hanno donato ore di ferie e permessi. Una vicenda che ha commosso l'Italia - -
Cura, vicinanza e resilienza. Non sono solo parole ma direttrici lungo le quali gli sforzi di ricerca e comunità tendono oggi per la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), una malattia che impedisce i movimenti a poco a poco ma non spegne i punti di contatto con mondo e vita. In Italia si stima che siano circa 6mila le persone affette. Per loro le risposte della scienza aumentano, così come il sostegno proveniente dalle iniziative promosse in occasione dello Sla Global Day 2025 che si celebra il 21 giugno. Tanti gli eventi dedicati, incluso un docufilm e una veleggiata solidale, dall’Associazione italiana Sclerosi laterale amiotrofica (AiSla) per aumentare la consapevolezza e supportare pazienti e caregiver. «Il bisogno che resta più spesso inascoltato è quello di sentirsi riconosciuti. Non come malati o assistenti di chi vive la malattia, ma come persone con la loro dignità, i loro desideri, la loro voce», afferma Fulvia Massimelli, presidente nazionale di Aisla.
Chi vive la Sla si confronta ogni giorno con un corpo che cambia, «ma ciò che fa più male – riprende Massimelli – è la solitudine davanti a decisioni, incertezza, tempo che manca. E questo riguarda anche chi cura, spesso lasciato solo nella fatica. Noi chiediamo ascolto per poter costruire risposte».
L’Associazione ha da poco creato una redazione scientifica, formata da neurologi, con lo scopo di divulgare in maniera corretta. «La scienza va tradotta, raccontata, condivisa», spiega la presidente, che sottolinea come troppo spesso la distanza tra ricerca e quotidiano sia enorme. La Sla ruba ai pazienti il movimento ma allo stesso tempo è capace di impartire lezioni: «ci ha insegnato – sostiene Massimelli – che l’impossibile, a volte, si può fare. In questi anni abbiamo costruito centri dedicati, portato la cura a casa, acceso riflettori là dove prima c’era il buio. Abbiamo formato alleanze con il mondo scientifico, con le istituzioni, con le aziende, perché da soli non si va lontano. Ma la vera opportunità è quella umana: ci siamo scoperti comunità. Ogni volta che una persona con Sla riesce a continuare a comunicare, a viaggiare, a sorridere con i propri figli, è lì che il limite si trasforma in bellezza. È questo il senso più profondo della nostra missione: generare speranza concreta».
E un ulteriore tassello di fiducia nella ricerca lo offre l’ultima pubblicazione su Cell Death and Differentiation, derivata da due studi preclinici supportati dalla Fondazione italiana di ricerca per la Sla (AriSla). Questi lavori hanno prodotto risultati chiave per definire i meccanismi molecolari alla base dell’accumulo di danno al Dna in cellule affette dalla Sla.
Nel malato, infatti, le proteine FUS e TDP-43 «tendono ad aggregarsi in una conformazione non funzionale poiché precipitano fuori dal nucleo, all’interno del citoplasma», spiega Sofia Francia, ricercatrice a Pavia dell’Istituto di Genetica Molecolare “Luigi Luca Cavalli Sforza” del Consiglio Nazionale delle Ricerche e autrice senior dello studio.
L’accumulo citoplasmatico di FUS e TDP-43 induce un danno al Dna perché le proteine capaci di ripararlo non vengono attivate e reclutate, causando la perdita di funzionalità del genoma e la sofferenza cellulare. In pratica, l’allarme molecolare disfunzionale viene lanciato ma la risposta non è sufficiente a intervenire. Volendo fare una metafora, è come se venisse segnalato un incendio senza però l’arrivo dei pompieri. «Nei malati di Sla – prosegue Francia – scatta l’allarme ma l’estintore non c’è e per questo il fuoco dilaga, cioè continua la degenerazione cellulare».
Quello che lo studio è riuscito a dimostrare non è solo il meccanismo ma sono gli effetti di un farmaco antibiotico, l’enoxacina, già approvato per intervenire in caso di infezioni batteriche del tratto urinario.
Rimanendo nella metafora, questo trattamento è capace di agire come un idrante che spegne l’incendio: «Avevamo già visto in altri studi – afferma la ricercatrice – come il farmaco fosse in grado di potenziare il reclutamento di una proteina che compie la funzione del pompiere e l’abbiamo testato in un modello murino, osservando come la somministrazione di enoxacina sia in grado di spegnere il segnale del danno. L’antibiotico a oggi è già presente nel nostro pannello di farmaci e negli ospedali ed è assunto per via orale. Ora occorre approfondire i risultati affinché si possa arrivare alla raccolta di dati per valutare come e in che dosi la molecola possa essere somministrata al paziente affetto da Sla. Per il momento, abbiamo potuto appunto analizzare dei marcatori della risposta al danno al Dna e osservato dei benefici di un farmaco già in uso per altre patologie e di cui sappiamo già il basso livello di tossicità».
Progetti, studi e nuove evidenze sono quindi all’ordine del giorno sul fronte della ricerca. «Il nostro osservatorio sui progetti finanziati ci restituisce un’immagine positiva», commenta la presidente di AriSla, Lucia Monaco. «In AriSla – continua –, con l’attuazione del Piano strategico, abbiamo selezionato nuovi progetti frutto dell’interazione tra ricercatori di base e clinici, affinché gli uni mettano a disposizione degli altri il proprio know how e si acceleri l’identificazione di interventi concreti per la diagnosi e il trattamento della Sla. La strada che si sta perseguendo punta a una diagnosi più rapida e a un monitoraggio della malattia più accurato, attraverso l’identificazione di biomarcatori. Allo stesso tempo cerchiamo nuove soluzioni terapeutiche, sia specifiche per le forme genetiche di Sla sia più generiche, puntando anche al riposizionamento di farmaci già conosciuti per altre patologie».
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