Vita e famiglia, le sentenze europee rispettino gli Stati

Il richiamo dei vescovi europei (Comece): le norme sul matrimonio sono regolati dal diritto nazionale, vanno evitate "pressioni" per modificarlo
December 16, 2025
Vita e famiglia, le sentenze europee rispettino gli Stati
La Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu)/ IMAGOECONOMICA
Su temi nevralgici come la vita e la famiglia qual è la legislazione che prevale nell’Europa comunitaria: quella di ciascuno Stato o quella europea? È lo snodo problematico di molte decisioni assunte dalle istituzioni Ue negli ultimi anni, con il principio aureo del "margine di apprezzamento" proprio di ciascun Paese membro su materie nelle quali pesano in modo determinante i principi etici e le radici valoriali messo in discussione e compresso in modo improprio.
È accaduto di nuovo con la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che nella causa Wojewoda Mazowiecki ha stabilito che la coppia formata da persone dello stesso sesso unita in matrimonio in un Paese Ue in cui ciò sia consentito dalla legge nazionale debba poter godere degli stessi diritti garantiti da quella norma anche se si trasferisce in un altro Stato membro dove non sono riconosciuti.
Sulla questione, sempre più intricata e problematica, interviene ora la Commissione degli episcopati dell’Unione Europea (Comece) pronunciandosi a partire dalla "visione antropologica della Chiesa, basata sulla legge naturale, del matrimonio come unione tra un uomo e una donna". La Comece ricorda "l’importanza di un approccio prudente e cauto e di evitare influenze indebite sui sistemi giuridici nazionali". Su questo terreno la Corte europea "aveva già compiuto progressi" ma con la nuova sentenza ora "sembra spingere la giurisprudenza oltre i limiti delle competenze dell’Ue".
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’articolo 9 ("Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia"), "stabilisce che "il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio". Nei sistemi giuridici di molti Stati dell’Unione "il matrimonio è definito come l’unione tra un uomo e una donna", talora persino "mediante disposizioni costituzionali".
La Corte Ue, si legge ancora nella nota dei vescovi, "riconosce infatti che l’obbligo affermato nella sua sentenza "non pregiudica l’istituto del matrimonio nello Stato membro d’origine, che è definito dal diritto nazionale" e afferma che "allo stato attuale del diritto dell’Unione le norme relative al matrimonio rientrano nella competenza degli Stati membri e il diritto dell’Unione non può pregiudicare tale competenza. Tali Stati membri sono quindi liberi di prevedere o meno, nel loro diritto nazionale, il matrimonio per persone dello stesso sesso"".
Poi però la Corte "restringe rigorosamente il significato di tale affermazione sottolineando che, nell’esercizio di tale competenza, ogni Stato membro deve rispettare il diritto dell’Ue, in particolare le disposizioni dei trattati sulla libertà dei cittadini di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri". La Comece nota dunque "con preoccupazione la tendenza ad applicare disposizioni che dovrebbero proteggere componenti sensibili dei sistemi giuridici nazionali in modo da impoverirne il significato". Ma "per alcuni Stati membri, la definizione di matrimonio fa parte della loro identità nazionale".
Prevedibile allora l’effetto della sentenza di "esercitare pressioni" perché i limiti locali "vengano modificati". Non solo: "Essa richiede inoltre l’introduzione di procedure di riconoscimento e chiede persino la disapplicazione, se necessario, delle disposizioni nazionali in questione. La sentenza crea di fatto una convergenza degli effetti del diritto matrimoniale, anche se l’Unione non ha il mandato di armonizzare il diritto di famiglia. Vi è anche un impatto sulla certezza del diritto, poiché sempre più Stati membri non saranno in grado di prevedere in modo chiaro quali parti del loro diritto di famiglia rimarranno di loro competenza".
Inoltre, la Comece teme che la sentenza possa portare a sviluppi negativi in altri settori sensibili del diritto di famiglia transfrontaliero, ad esempio aprendo la strada a futuri approcci giuridici simili in materia di maternità surrogata. Amara e preoccupata la notazione finale dell’organismo di rappresentanza delle Chiese cattoliche dei 27 Paesi Ue: "Ricordando il contesto difficile che l’Unione europea sta attualmente affrontando, anche in riferimento alla sua percezione in vari Paesi, non sorprende che questo tipo di sentenze dia adito a sentimenti antieuropei negli Stati membri e possa essere facilmente strumentalizzato in tal senso". Come dargli torto?

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