sabato 29 aprile 2023
Un parroco torinese appassionato di astronomia racconta la sua esperienza di pastorale tra la gente passando per la "porta" di stelle, pianeti e comete. Una ricerca interiore che coinvolge e incanta
Un gruppo di osservazione del cielo insieme a don Luca sul tetto della parrocchia

Un gruppo di osservazione del cielo insieme a don Luca sul tetto della parrocchia

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«Il cielo è un luogo a cui andare per vedere, e ascoltare. Ciò che da bambino era curiosità e meraviglia, da adulto nutre il mio cuore, la mia speranza, la mia fede. E quella della mia gente» Credo. Aumenta la mia fede. Questa preghiera fu degli apostoli ed è di ogni credente, ha senso in qualunque tempo. Soprattutto se il tempo che vivi cartavetra la fede in tutti i modi. Aumenta la mia fede è la preghiera di chi è chiamato in modo particolare a confermare nella fede la sua gente, come mi capita ogni giorno facendo il cappellano universitario e il parroco. Tutti condividiamo la sensazione che in tempo di carestia spirituale bisogna prendere fiato dalla pastorale che ti strangola per pregare e cercare dove attingere vita. Se il salmo 19 ha ragione – «i cieli narrano la gloria di Dio e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento» – allora in un tempo in cui vedere è diventato importante quanto ascoltare, il cielo è un luogo a cui andare o, nel mio caso, tornare. Da bambino molto del mio mondo era al di là di una finestra, verso il cielo; da bambino potevo andare a letto più tardi solo se trasmettevano un film di Jerry Lewis. O una missione dello Space Shuttle. Non avevo un telescopio, troppo costoso uno serio: avevo un binocolo, ma dalle finestre di casa nostra in una città come Torino si poteva vedere giusto uno spicchio di Luna tra i palazzi e nulla più. C’era Star Trek, ma lo spazio vero era destinato ad aspettare. Sino a oggi.

A 50 anni appena compiuti sono tornate le stelle, il cielo profondo, galassie e nebulose, Saturno e Giove, i crateri della Luna. Quello che da bambino era curiosità e meraviglia, da adulto nutre il mio cuore, la mia speranza, la mia fede, la mia passione per l’appassionato crocifisso. La Scrittura, la teologia, la lettura dei Padri, l’ascolto delle persone, la celebrazione dei sacramenti, la vita pastorale nutrono il mio essere prete sino in fondo. Ma nonostante tutto questo si corre sempre il rischio di credere per buone ragioni, di amare per buoni sentimenti, di predicare per dovere di ufficio. Il fuoco della trasfigurazione ha bisogno di bellezza soprannaturale per continuare a divampare. Di bellezza che non sia il frutto dell’agire umano, ma esclusivamente dell’agire divino. E il cielo stellato è proprio così. Di qui un primo telescopio piccolo piccolo, poi uno decisamente più serio come regalo per il mezzo secolo. Il tetto della parrocchia che permette un bell’orizzonte, qualche uscita fuori porta al mare o in montagna, e le galassie o le comete sono servite. Ma se sei prete non puoi che essere prete. E se stai sulla parola di Dio lasciando che ti metta un po’ in crisi, non puoi far finta di nulla. Se ricevi un dono è per donarlo a tua volta. La parabola del povero Lazzaro e del ricco narra certamente del nostro frigorifero, ma anche di quello che nutre il nostro cuore, lo spirito, la fede. Così cielo e telescopio sono diventati uno strumento pastorale, per stare insieme, per pregare insieme. Con i più piccoli, ma anche e soprattutto con i più grandi. L’invito è facile, la serata si combina velocemente, il dialogo si può fare serrato. L’inquinamento luminoso è implacabile in città, ma ti permette lo stesso di accarezzare gli anelli di Saturno, di rimanere a bocca aperta davanti alla macchia rossa di Giove, di tuffare lo scetticismo e il disincanto di questo tempo in miliardi di stelle di un ammasso globulare. Sorvolare la Luna e atterrare in un cratere è l’occasione per rivedere il senso delle nostre ferite, ridare il nome alle piaghe interiori.

Ridare luce al cinereo di alcuni pensieri che attraversano la storia e le vite della mia gente. Far tornare il sorriso a una ragazza che ha perso suo padre. Se metti decine di universitari sul tetto per dare la caccia a una cometa, quella a Cristo li porta sempre. Poi il Signore è sempre al di là delle tue aspettative, e ti trovi pure a dare una mano al Santo Padre per mettere insieme una missione spaziale (www.speisatelles. org). Ma è un’altra storia. Spesso mi risuona nel cuore un passaggio del Padre Nostro: come in cielo così in terra. Da quando prendo freddo tra i comignoli e il silenzio delle notti stellate, questa frase è diventata tanto altro di più. Bibbia e telescopio dunque, non per fare scienza, ma per ascoltare dalle profondità del Creato una parola capace ancora di creare. Ci scrivi un libro, lo racconti nelle scuole, ci fai un pezzo per Avvenire. Lo stupore di essere abitatori di un puntolino da nulla in tutto il cosmo in cui Cristo ha scelto di farsi uomo e morire per me.

Chi è don Luca Peyron. La sua esperienza in un libro

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50 anni compiuti da pochi giorni, sacerdote dal 2007, don Luca Peyron guida a Torino la parrocchia della Madonna di Pompei. Laurea in Giurisprudenza, licenza in Teologia pastorale, coordina il Servizio per l’apostolato digitale ed è responsabile in diocesi della Pastorale universitaria. Insegna al Politecnico di Torino e fa parte del Consiglio scientifico d s d H T dello Humane Technology Lab dell’Università Cattolica di Milano. Ha appena raccolto le riflessioni nate nelle osservazioni della volta celeste insieme ad alcuni parrocchiani e a gruppi di giovani in un originalissimo libro, «Cieli sereni. Trovare Cristo seguendo le stelle (e con l’uso di un telescopio)» (San Paolo, 160 pagine, 15 euro).




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