giovedì 13 dicembre 2007
A quelli che «o l'embrione o niente» non era bastato. Che due distinti gruppi di scienziati " in due Paesi lontani e secondo due protocolli differenti, negli Usa e in Giappone " fossero riusciti nell'impresa di far ringiovanire cellule umane adulte fino a trasformarle in staminali pluripotenti e senza distruggere embrioni; che l'opinione pubblica e gli esperti di mezzo pianeta avessero accolto la scoperta come l'inizio di una rivoluzione "etica" in campo scientifico; che un convinto sostenitore della manipolazione e clonazione di embrioni come lo scozzese Ian Wilmut, il papà della pecora clonata Dolly, avesse fatto marcia indietro sconfessando le sue convinzioni pregresse in materia di ricerca; che addirittura la California " da anni in prima fila nello stanziamento di fondi per la ricerca su embrioni " avesse deciso di finanziare anche la ricerca sulle cellule adulte riprogrammate. Neanche questo era bastato. Ancora, all'indomani dell'annuncio delle scoperte di Yamanaka e Thomson (riportate rispettivamente dalle riviste scientifiche Cell e Science lo scorso 20 novembre), li abbiamo sentiti dire che erano tutte "baggianate", che gli stessi autori dovevano aver utilizzato embrioni perché quest'ultima avesse successo, che la ricerca sulle cellule staminali embrionali deve andare avanti, pena l'arresto di qualsiasi progresso in campo medico-scientifico.

Per fortuna a smentire gli «ultras dell'antiembrione» (così li ha definiti Pierluigi Battista, in un significativo commento sul Corriere della Sera il 3 dicembre) ha pensato lo stesso Shinya Yamanaka, dalle colonne del New York Times di martedì. Lo scienziato giapponese, infatti, ha dichiarato di non aver mai utilizzato cellule embrionali per i suoi esperimenti («In Giappone è proibito " ha spiegato Yamanaka " e in America, dove pure ho un laboratorio, anche se venivano utilizzate da alcuni per verificare il meccanismo della mia scoperta sulla riprogrammazione, io non le ho mai impiegate»). Ma non basta. Per la prima volta da quando è diventato famoso, Yamanaka si è anche aperto sulle motivazioni di tanta determinazione: «Ero un assistente universitario di farmacologia e lavoravo a un progetto in cui si utilizzavano anche cellule embrionali " ha raccontato al quotidiano liberal americano ". Un giorno un mio amico che lavorava in un clinica di procreazione assistita mi invitò a visitarla, e mi fece guardare al microscopio un embrione. Quella vista cambiò la mia carriera scientifica. Quando vidi l'embrione, improvvisamente realizzai che c'era una piccolissima differenza tra quello e le mie due figlie. Pensai che non potevamo continuare a distruggere embrioni per la nostra ricerca. E che ci doveva essere un'altra strada». Eccolo, dunque, l'inizio della storia che in diverse puntate abbiamo visto pubblicata sulle principali testate internazionali (italiane escluse): a giugno scorso l'annuncio del successo nella riprogrammazione cellulare sui topi; tre settimane fa quello sulle cellule umane della pelle, ringiovanite grazie all'impiego di quattro geni e tuttavia esposte al rischio del cancro a causa dell'impiego di retrovirus nel processo; il 30 novembre la pubblicazione su Nature biotechnology di un protocollo in cui uno dei quattro reterovirus, il più cancerogeno, è stato escluso dal processo di riprogrammazione senza alternarne l'esito positivo. Scoperte che Yamanaka non ha fatto "per caso", spinto da chissà quali interessi economici (verrebbe, anzi, da dire il contrario vista la scarsità di finanziamenti con cui il Giappone lo ha sin qui appoggiato, facendo solo ora dietrofront) o di affermazione personale (il professore è conosciuto per la sua recalcitranza a telecamere e microfoni, oltre che per una dedizione solitaria e quasi maniacale al suo lavoro).

Scoperte straordinarie sulle cellule staminali adulte si devono anche a molti ricercatori italiani, spesso intervenuti su queste pagine e ancora discriminati nel nostro Paese perché convinti sostenitori di una scienza capace di rispettare la vita e le convinzioni etiche sul rispetto dovuto all'embrione in quanto essere umano. Lo domandiamo dunque un'altra volta, con le parole di Yamanaka: perché ostinarsi a distruggere embrioni umani, quando è ormai dimostrato che altre strade sono percorribili con successo?
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