WeWorld e Still, una galleria solidale per «cambiare il mondo»
lunedì 8 novembre 2021

Può una fotografia cambiare il mondo? Può fare la differenza? La risposta è «sì», può farlo, o almeno provarci. Con la potenza dell'immagine stessa, che denuncia un fatto, una vicenda, mostra una condizione o una visione, genera un’emozione e indirizza il nostro andare. Per restare all'attualità più recente, lo scatto che ha vinto il Siena International Award, Hardship of Life (La difficoltà della vita) del fotografo turco Mehmet Aslan che ritrae il sorriso di profugo siriano, un papà mutilato di una gamba che si regge su una stampella e gioca con il suo piccolo di cinque anni, Mustafa, nato senza arti inferiori, ha acceso la speranza: l'organizzazione del premio ha aperto una sottoscrizione sulla piattaforma GoFundM, con il motto: "Can a photo make a difference?". Grazie alle donazioni Mustafa e Munzir arriveranno in Italia: per loro si apriranno le porte del Centro protesi Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna, dove Mustafa e suo padre saranno visitati per programmare poi gli interventi di protesi. E poter contare su un futuro migliore.

Ci sono foto iconiche di momenti storici che sono diventate memoria collettiva. Pensiamo alle immagini della Shoah, del Vietnam, di Tienanmen, che hanno scavato un solco nelle nostre coscienze perché «non accada più». Un modo quotidiano di cambiare il mondo. Ci sono poi le fotografie che possono cambiare il mondo sostenendo associazioni e realtà che si impegnano a farlo, attraverso aste e la condivisione di progetti. È quello che anima moltissimi fotografi e fotografe a collaborare con la galleria Still a sostegno dell'organizzazione WeWorld per combattere la fame e la malnutrizione in Mali e Burkina Faso. Un progetto importante (la presentazione da Still a Milano mercoledì 10 novembre) sia per la qualità delle opere proposte, sia per il ventaglio dei fotografi coinvolti. Con la direzione artistica di Denis Curti, curatore ed esperto del collezionismo fotografico, si è creata una gallery virtuale in cui si ritrovano numerosi tra principali protagonisti della fotografia contemporanea insieme per garantire cibo a donne, bambini e comunità vulnerabili del Sahel. Dal 2016 Burkina Faso, Mali e Niger hanno visto crescere le violenze, con milioni di sfollati in condizioni disumane. Il progetto che WeWorld porta avanti punta a garantire l'accesso al cibo durante il periodo di siccità alle famiglie più fragili. Ed ecco l'idea: «Una fotografia per cambiare il mondo». Fotografi e le fotografe selezionati sono stati chiamati a partecipare donando una scelta dei loro scatti, rappresentativi della carriera e della poetica fotografica di ciascuno di loro.

WeWorl, 'Una fotografia per cambiare il mondo'. Lo scatto (senza titolo) donato del fotografo spagnolo, Diego Ibarra Sánchez

WeWorl, "Una fotografia per cambiare il mondo". Lo scatto (senza titolo) donato del fotografo spagnolo, Diego Ibarra Sánchez - © Diego Ibarra Sánchez

Sul sito di WeWorld, fino al 31 gennaio, i donatori potranno scegliere fra tanti soggetti, dal ritratto al paesaggio, dalla fotografia astratta e concettuale alla fotografia di documentazione e reportage, e dare il proprio contributo. Tra i fotografi che hanno già aderito al progetto ci sono Maurizio Galimberti, Alan Maglio, Marco Craig, Simona Ghizzoni, Francesca Volpi, Isabella Balena, Michele Cazzani, Giovanni Diffidenti, Efrem Raimondi, Maki Galimberti, Cesare Cicardini, Fabrizio Spucches e tanti altri. In questo spazio ci facciamo catturare dallo scatto, denso di umanità, donato da Diego Ibarra Sánchez, un fotografo documentarista, regista ed educatore spagnolo, basato in Libano. Così come spiegato nella pagina dedicata a lui dedicata, Ibarra ha una posizione molto critica nei confronti dell'uso delle immagini nella nostra società, definendo questo momento storico come «un'era lobotomizzata del "turismo" sul dolore dell'altro»: per lui la fotografia «non è solo una finestra che permette uno sguardo su ciò che accade nel mondo, ma diventa un mezzo per sollevare domande e generare riflessioni». «Lo sguardo di Diego Ibarra Sánchez - scrivono i promotori del progetto nel suo profilo - va oltre la prima linea, documentando e mostrandoci tutto ciò che è rimasto dopo i bombardamenti, le uccisioni e le battaglie: l'umanità che non ha più nulla oltre la sua vita». Un “credo” nella fotografia documentaria come «catalizzatore, mezzo che scuote le coscienze e, mostrando la resilienza e il coraggio che si trovano nelle storie dimenticate, dimostra sempre profondo rispetto verso il protagonista della storia». La fotocamera uno strumento con «il potenziale per creare un cambiamento sociale; per cambiare le menti delle persone e per cambiare i cuori delle persone».

La fotografia che cambia il mondo. Anche con scatti più giocosi e artistici. Ci sono i "fuochi d'artificio" di Isabella Balena, c'è un mosaico con una Yellow dance newyorkese di Maurizio Galimberti o una composizione di Michele Cazzani che nel suo stile inconfondibile della "visione circolare", ci regala un'immagine inedita e stupefacente del Duomo di Milano. Per guardare in Alto, con un abbraccio che parte dal basso. Una foto d'arte. Ma che può fare la differenza. Sì.

Una foto (con tante altre foto dentro) e 767 parole.

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