sabato 27 giugno 2020
«Per i tuoi undici anni, ora che incominci a guardare la natura. Il papà». L’ho trovato ieri mentre spolveravo i libri più vecchi, quelli delle mensole alte dove è necessario prendere la scala per raggiungere i volumi. Il titolo era Creature. La dedica di mio padre mi fece sfogliare in fretta le prime pagine incuriosita dalle righe sottolineate dalla mia matita di scuola che dicevano: «Il meraviglioso si accresce sulla conoscenza esatta anziché diminuire». Davvero non so spiegarmi come
fossi stata capace di mettere assieme tale giudizio quando le mie giornate si dividevano tra le ore di scuola, quelle di ginnastica, le corse in bicicletta, l’ascolto della radio che a casa nostra era sempre aperta sulle stazioni musicali anche quando si studiava. Mi commuove oggi incontrare una Maria Romana dimenticata che mi pare ricostruire attraverso il racconto di un altro; mi chiedo allora quando avevo il tempo di mettermi in poltrona (impossibile perché in casa ce ne erano solo due per i genitori) dimenticando che avevo una nuova piccola sorella da aiutare. Che sorpresa allora seguire tra quelle pagine la lotta delle nuvole tra gli alti campanili dei paesi, fra le cupole e le terrazze, tra le torri scure e le finestre già buie. E che splendore quella luce quasi bianca che entrava nella legna minuta del mio caminetto descritto nel libro che poi «si perdeva quasi a malincuore su per la cappa nera fino al cielo». Nella lunga estate bruciavano nel nostro camino le vecchie tegole del tetto antico, offrendo sibili come grida d’addio mentre il ceppo più vecchio sotto la cenere custodiva il fuoco fino al mattino. Duecento cinquanta pagine come proiezioni di un film, disegnate elegantemente attiravano la mia lettura perché amavo le verità, ciò che forse avrei potuto trovare, rincorrere con la volontà o la fantasia. Ed ecco le pagine che raccontano la vita dei fiori che da lontano sembrano tutti uguali quando vivono in un prato, ma alcune righe del mio libro mi ricordano che «steli, foglie, fiori che sembrano messi lì e far folla, hanno ciascuno un disegno, un’armonia di colore, un carattere individuale. Alcuni si piegano e bagnano la fronte nell’acqua...». Questo piccolo libro fu per me come aprire le braccia alla vita con un’immensa sorpresa e una voglia infinita di prendere tutto, di non dimenticare niente per raccontare agli altri la meravigliosa favola del mondo. Anche il dolore un giorno seppi che faceva parte della nostra storia e imparai a portarlo con me sottobraccio come il bastone per la mia età. Quando gli occhi incominciavano a riempirsi di lacrime l’affanno mi disegnava nell’aria le foglie degli alberi e mi faceva sentire l’armonia dell’atmosfera dei miei boschi.
Ho sempre con me il colore, il grido del vento, la furia della pioggia, lo sbattere della grandine sui vetri, mentre il sole come per uno scherzo scendeva trionfante nella luce dell’universo.
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