domenica 8 febbraio 2009
Per fatto anche personale: agosto 1956, a 16 anni, per meningite tubercolare presa in ritardo e già in coma - durerà 7 mesi - arrivo al San Camillo di Roma, ma il primario del Marchiafava, prof. Pennacchio, rifiuta di accogliermi: "Mi portate un morto!" Poi per le suppliche dei miei e l'intervento del prof. Virgilio Maccone, tisiologo e primario al Forlanini, accetta di tenermi per qualche giorno, dichiarando che "tanto è inutile". A curarmi, prima contraddicendo i suoi ordini e poi fino a maggio al Forlanini, ci pensarono altri. Già: allora non si poteva condannare a morte un malato in coma. Oggi si può! A Udine stanno facendo morire di fame e di sete una ragazza finora viva, anche se gravemente menomata in tante funzioni. Sulla base fumosa di parole altrui, sostituendosi ad un Parlamento quasi inerte e pronto solo ai propri affari bipolari, la sentenza capitale di un Tribunale reintroduce la pena di morte in Italia. Eluana Englaro è ancora viva, l'altra notte si è come sollevata dalla barella, ad occhi aperti, sconvolgendo i presenti - i giornali hanno nascosto il fatto, che solo "Avvenire" ha raccontato in prima pagina! Cose inaccettabili, mi vergogno profondamente, oggi, di essere di questa Italia, di questo giornalismo, e di questa politica. E protesto. Ieri ho inviato una email ad un politico "cattolico", ricordandogli l'inaccettabilità del fatto. Mi ha risposto che lui ha "certezze solo sulla Costituzione". Strano! Credevo che più certa di tutto, e rispecchiata nell'uomo sua immagine, per un cristiano ci fosse la realtà di Dio col suo comando: "Quinto: non uccidere"" Sbagliavo?
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