sabato 2 novembre 2002
Questo è il messaggio dell'Altissimo: «Quando il gufo striderà il suo lamento funebre e le ali della morte volteggeranno sul tuo capo per disperdere i tuoi giorni in un placido tramonto, vano è fuggire. Lascia serenamente che la tua barca sciolga la vela per approdare all'altra sponda, ove sorge un'altra aurora!». Finisce così, nelle varie versioni che ha subíto nella sua trasmissione, la celebre novella araba dell'uomo che volle fuggire la morte e che decise di migrare nella remota Samarcanda. In città, però, incontrerà l'angelo della morte che l'aveva atteso proprio là, dimostrandogli in tal modo l'impossibilità assoluta di sottrarsi al decreto estremo e supremo della morte. Ieri si era parlato della santità ricorrendo alla tradizione musulmana; oggi è d'obbligo il tema del morire ed è ancora l'islam a farci balenare una verità che il cristianesimo aveva affermato in modo ancor più alto e intenso con la Pasqua di Cristo. La barca della vita, nella morte, non è destinata a sfracellarsi sugli scogli, ma a intraprendere una nuova navigazione verso un'altra sponda. Il placido tramonto della nostra esistenza non è votato a una notte senza fine, ma a un'altra aurora, quella di «un giorno unico nel quale non ci sarà più dì e notte ma a sera ritornerà a risplendere la luce», come diceva il profeta Zaccaria (14, 7). Ritroviamo, perciò, la forza dell'attesa e della speranza anche quando siamo di fronte alla tomba. Una preghiera musulmana dice: «Dio mio, fa che la tomba sia la più bella delle case. Concedici
di morire nel desiderio di incontrarti. Concedici di prepararci al giorno dell'Incontro».
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