mercoledì 7 giugno 2023
Vologda, duecento chilometri a nord di Mosca, è la patria di Varlam Šalamov, l’autore che, nella rievocazione dei gulag, può guardare a testa alta Aleksandr Solženicyn, in alcuni scorci della sua opera addirittura superandolo, se pensiamo alla prosa dei Racconti di Kolyma. Varlam venne chiamato così dal padre, pope mezzo sciamano che predicò nelle isole Aleutine, in onore del santo protettore di questa città, per secoli luogo di reclusione e transito dei detenuti inviati oltre gli Urali. Le autorità zariste ci spedirono anche il nazionalista polacco Apollo Korzeniowski, insieme al figlio ancora piccolo che sarebbe diventato il grande Joseph Conrad. Io la raggiunsi in treno dalla stazione moscovita di Jaroslavskij, capolinea della Transiberiana. Visitai il museo dedicato a Šalamov, vicino alla cattedrale di Santa Sofia. Ricordo una città di provincia avvolta nel gelo. Il midollo spinale della Russia. Le donne aspettavano l’autobus all’aperto con una temperatura che segnava venticinque gradi sotto lo zero. All’interno delle stanze illuminate si percepiva il tepore delle antiche fiabe. Varlam Šalamov, che nella Quarta Vologda, celebrò il suo luogo di nascita e formazione, morì dimenticato e solo nel 1982, a settantacinque anni, in un ospizio alla periferia della capitale, il Litfond. © riproduzione riservata
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