martedì 9 maggio 2017
Che razza di furia è mai quella di richiamare l'atra morte con la guerra? Essa incombe su di noi e viene a nostra insaputa, silenziosamente.
(Tibullo, 1, 10, 33-34)

Dal momento che negli ultimi giorni, purtroppo, vediamo quasi tutto il mondo tremare per paura d'una guerra imminente, non di rado ho riflettuto tra me e me su quali siano le cause per le quali così spesso si rinnova negli animi degli uomini, come una fiamma che risorge di nuovo, il desiderio di far guerra, quando i conflitti sembrano del tutto terminati e risolti. Infatti qualsiasi sovrano che vuol mandare il suo esercito contro un'altra nazione mi sembra non voler far nulla di diverso da chi, dopo avere impiegato un'immensa fatica e un grande dispendio di danaro nel costruire con arte e in maniera accurata una casa, improvvisamente, come se avesse cambiato idea, inizi a strappare da questa i mattoni e a lanciarli contro la casa accanto: una tal persona cioè, è infiammata da una così gran malevolenza, da volere un danno per l'altro anche a costo della propria rovina. Eppure, anche se non c'è nessuno che non s'accorga che un uomo siffatto bisognerebbe tenerlo quanto più lontano dalla guida d'un Paese, tuttavia noi non pensiamo questo di ministri e magistrati, che son trascinati da una non minor pazzia, ma tolleriamo ch'essi siedano al timone dello Stato: proprio come se provvedessero in maniera ottimale alla salute pubblica! Eppure, se per caso sullo scendere in un conflitto ci si potesse consigliare con le anime dei nostri antenati, che han sostenuto tutti i mali della precedente guerra a proprio rischio e pericolo, essi, credo, in fretta ritornerebbero dalle tenebre del mondo di sotterra, solamente per distoglierci da una così grande iniquità. Infatti, per quanto scarso sia il frutto che speravano di riportar dalla guerra (se pure speravano di riportarne alcuno), dubito che, concluso il conflitto, abbiano continuato a ritener tale frutto tanto prezioso, da credere ch'esso dovesse esser conseguito con la perdita delle proprie cose e dei propri cari. Che anzi, se potessimo ascoltare le loro voci, forse ci ammonirebbero d'altro se non di tutte le afflizioni che sono stati costretti a soffrire, delle fiamme da cui han visto distruggere le case, della distruzione dovunque diffusa, delle divisioni familiari, dei dolori degli orfani e della gioventù annientata? Noi però, che siamo del tutto inesperti di queste disgrazie, non so proprio quanto possiamo commuoverci per le loro parole. Cionnonostante credo sia proprio della nostra umanità imparare dal sapere altrui e ricordare dalla memoria d'altri: così forse potremo sempre tenere a mente in che grande male si sian trasformati i desideri di guerra, anche se noi non ne abbiamo sperimentato nessuno di persona: e dobbiamo ricordarlo soprattutto ora, quando l'oblio di quelle sventure sembra prevalere.
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