Tra il Principe e il Führer il megalomane Schmitt rende umano Machiavelli
venerdì 14 novembre 2014
​Che cosa avrà potuto pensare di Machiavelli un filosofo della politica come Carl Schmitt, uno dei giuristi moralmente più disonesti del XX secolo, che nel 1933 si mise al servizio del nazionalsocialismo teorizzando che il capo, il Führer è il fondamento della costituzione, sostenendo le leggi razziali e approvando l’uso della violenza contro gli oppositori? Sull’autore del Principe, colui che più tardi sarà il presidente dei giuristi del Terzo Reich, nel 1927 scrisse un breve saggio che ora si può leggere, con testo tedesco a fronte, in un opuscolo a cura di Giuseppe Cospito pubblicato dal Melangolo (Macchiavelli, pagine 56, euro 5: le due c sono nell’originale). Il curatore annota e commenta nella sua prefazione il testo di Schmitt e dedica anche molta della sua attenzione alle riflessioni di Gramsci su Machiavelli. Non mostrando per Machiavelli molta stima, Schmitt nota che non fu affatto «un mostro immorale« e che comunque il segretario fiorentino «non fu né un grande statista né un grande teorico. La sua attività al servizio di Firenze non ebbe particolare efficacia» e in politica interna «assunse sempre posizioni sfortunate», ciò che lo costrinse a passare gli ultimi quattordici anni della vita esiliato nella sua casetta di campagna. Insomma, in lui niente di «eroico» e neppure di «brillante». Il suo pensiero politico secondo Schmitt è poca cosa se paragonato a quello di Platone e Aristotele, e quanto a immoralismo Nietzsche lo supera di molto. I sui pregi maggiori sarebbero la classica chiarezza del suo stile e la sua «umana naturalezza». In questo c’è molto di vero. La megalomania teoricopolitica di Schmitt, il suo ruolo eminente al seguito di un vero “mostro” come Hitler, le infatuazioni “eroiche” della Germania nazista con i suoi progetti di dominio sul mondo, sono droghe da cui un sobrio umanista come Machiavelli poté tenersi lontano: la sua era un’altra epoca. Si dovrebbero comunque avere seri dubbi anche sulle qualità teoriche di Schmitt. La sua idea di politica come “pura decisione” è un’arma messa nelle mani di una classe di dominatori, più che di governanti. Per un tale politologo non esiste la società, ma solo lo Stato che la sottomette. E se politica è essenzialmente, come egli afferma, opposizione fra “amico e nemico”, la sua più autentica manifestazione, se non il suo scopo, è la guerra.
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