venerdì 18 ottobre 2013
«Zero tituli!» Così un celebre "mister" del calcio. Zero titolacci! Così d'istinto, con la fortissima tentazione almeno di un "calcetto", quando ieri leggi ("Libero", p. 16) questo titolo imperativo per Pierangelo Maurizio: «Caro Papa, di' qualcosa di cristiano». Riflette, lui, sulla tristissima vicenda Priebke, e fa l'elenco dei colpevoli, lamentando «i calci (eccoci di nuovo lì, Ndr) sferrati ad un sacerdote», e questo proprio mentre lui in concreto ne azzarderebbe uno, essenziale, al Papa! Ce l'ha col Vicariato, e quindi col Vicario, che a Roma fa diretto riferimento al Papa, e avanza le sue ipotesi di soluzione, alcune bislacche, per esempio che «ai lefebvriani sia stato chiesto dalle gerarchie di assolvere alla sgradita incombenza», altre addirittura di peggiori, per concludere poi, appunto, con l'imperativo: «Papa Francesco, per favore, su questa vicenda di' qualcosa di cristiano». Con calma si potrebbe ragionare – e in questi giorni qualcuno lo ha fatto, anche in pagina, per esempio qui su "Avvenire" – ma quel titolaccio lassù è indegno anche della peggiore polemica, perché dopo sette mesi dal 13 marzo scorso diventa un insulto e un'offesa su ciò che è essenziale. Che dire? Niente, salvo annotare la cosa, e salvo rileggere i titoli dei giornali di mercoledì per quanto detto il giorno prima nella celebrazione a Santa Marta. Qui su "Avvenire" si scriveva questo: «Il Papa. Adoriamo Dio, amiamo il prossimo». Affermazione cristiana? Un invito forte a vincere «ipocrisia e idolatria». Già: l'idolatria! Pura parola di Dio, proprio «qualcosa di cristiano»! Ogni riferimento a tutto ciò che avviene quando regime, ideologia, primato dello Stato, della razza, dell'odio o persino della Chiesa nelle sue dimensioni umane e fallibili portano alla strage di umanità, da qualsiasi parte avvenga non è casuale.
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