martedì 7 aprile 2020

In questo tempo di confinamento, non faccio altro che pensare a una frase latina che avevo appreso da un confratello domenicano. Il frate in questione, poi diventato vescovo, era stato superiore di un convento del Piemontese. Un anziano padre era molto malato e il superiore aveva chiamato il dottore. Questi dopo aver visitato con attenzione il paziente, gli prescrisse dei medicinali. Quando però il dottore disse al superiore che non vi era più nulla da fare, il frate osò domandare il perché di quella prescrizione. Il dottore pronunciò allora con solennità quella frase latina: «Ut aliquid in fieri videatur ». Facciamo finta di far qualcosa, anche se sappiamo bene che ormai non vi è più nulla da fare.
Chiedo perdono per un pessimismo che vorrebbe essere realismo, ma ho l’impressione che il fatto di voler mantenere a tutti i costi una vita “quasi di lavoro” normale, salvaguardando un ritmo come se nulla stessa accadendo, con appuntamenti telefonici, lavoro remoto eccetera, sia un far qualcosa per far qualcosa. E l’azione della Chiesa rischia di non essere distante da questo stesso tipo di approccio. Moltiplichiamo le Messe online, prediche e discorsi di tutti i tipi grazie al web (anch’io utilizzo questi mezzi, forse per il momento non ve ne sono altri), eppure credo che occorra andare all’essenza, al cuore della fede stessa che può fare a meno di tutto questo. E la mistica cristiana ci insegnerebbe tanto.
In questa situazione di crisi, non vi è solo l’umanità sofferente, ma in un certo qual modo c'è anche la civiltà di quella stessa umanità. Quasi come una danza macabra, ci muoviamo e danziamo intorno a qualcosa che è morente: il nostro sistema. Per cui l’umanità contagiata dal virus non sarebbe altro che una realtà che rinvia a un’immagine, quella di un sistema che sta mostrando i suoi limiti più intrinsechi, contaminato dal suo stesso modo di vivere. In fondo, interiormente e implicitamente ce ne stiamo talmente tanto rendendo conto che iniziamo anche ad apprezzare questo isolamento. Ci vogliamo però convincere che questo periodo sarà solo una pausa, tra il ritmo frenetico del prima e di quello del dopo. E forse sarà anche così, ma forse la realtà stessa ci mostrerà che è vero il contrario.
Nel frattempo continuiamo a cercare di affaccendarci, per giustissimi motivi chiaramente, tra cui quello di mantenere in piedi tutto il palinsesto che in fondo ci ha costretti a questa quarantena interminabile. Questo tempo di confinamento, di isolamento e distanziamento sociale, dovrebbe esserci propizio a pensare al nuovo che viene, che abbiamo l’obbligo e il dovere morale di immaginare. In questa Settimana Santa abbiamo l’opportunità di non disperderci in dettagli per focalizzarci invece sull’essenziale della nostra vita, su quanto possa essere trasformato radicalmente, ma anche sulle frustrazioni che questo sistema ci fa subire e sulle illusioni di cui viviamo beatamente. Il mistero di passione, morte e risurrezione merita che lo si scorga anche nella vita sociale e politica. Forse stiamo attraversando una Settimana Santa, globale per l’umanità intera, e rischiamo di non accorgerceneut aliquid in fieri videatur.

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