martedì 27 agosto 2019

Quante sorprese, le canzoni. Si dice "pop", si parla di disimpegno, poi da un lp del 1980 finito in vetta all’hit parade salta fuori una storia d’infanzia abusata, di vita bambina che per venire protetta è dovuta andare in affido. Una storia quasi gridata, con parti anche sin troppo crude da poter essere riportate qui, ma perché pensata per denunciare, senza se e senza ma. «Razza onesta, gente mia?! Luce rossa fuor di casa, mia madre la padrona... Le ragazze sono sane, le ragazze stanno bene, la domenica hanno in premio il sufflé con le banane. Una volta, ancora bimbo, io l’ho vista lavorare: le sedevo ancora in grembo, dovetti già capire... Troppo facile giudicare, condannare: in silenzio meglio stare... Anna? Mi voleva bene, mi sentivo come un uomo innamorato: poi mia madre ci ha scoperti, in collegio sono andato. Ora tutto è scolorito, sono adulto e laureato, quella casa è demolita, mia madre è svanita... Non amo il mio futuro, nemmeno il mio passato, sono un uomo come tanti...». Sì, è una storia dura, disincantata, realistica, tipica del repertorio più impegnato che abbiamo; e però viene dal "pop", e grazie ad esso è arrivata all’orecchio di moltissimi, per farli riflettere. Il merito è di Riccardo Cocciante e Mogol, che questo suo testo lo considera – non a torto – da riscoprire.

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