martedì 27 settembre 2022
Le capitali d'Europa, di quell'Europa di cui l'Italia fa convintamente parte fin dal suo sorgere, si interrogano. Si chiedono se le cose, a Roma, andranno davvero in quella «direzione difficoltosa» che la presidente della Commissione Ue paventava tre giorni prima del nostro voto. Nel qual caso, aggiungeva, Bruxelles avrebbe pronti «gli strumenti per agire». Può darsi che Ursula von der Leyen, nel leggere i risultati elettorali di domenica, si sia morsa tardivamente la lingua, immaginando di aver potuto innescare in qualche elettore della Penisola una reazione opposta a quella da lei segretamente auspicata. E lo stesso potrebbero aver fatto il suo vice olandese Frans Timmermans, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e altre personalità dei nostri ventisei partner, quelli pubblicamente allarmati per la tendenza annunciata dai sondaggi tricolori.
A urne scrutinate, e a previsioni più che confermate, le cancellerie del Vecchio Continente, con qualche vistosa eccezione e pochi applausi a scena aperta (Polonia e Ungheria), sembrano preferire una linea più cauta e verosimilmente ispirata alla realpolitik. Del resto, bon gré mal gré, anche con la svolta italiana a destra una Unione che desideri restare tale dovrà per forza fare i conti. Sapendo che il primo interessato a evitare traumi epocali ai propri concittadini dovrebbe essere proprio il governo destinato a insediarsi a Palazzo Chigi di qui a poche settimane. E non dimenticando che, a vigilare sulle prossime tappe del cammino istituzionale di casa nostra, sarà Sergio Mattarella, della cui convinta adesione agli ideali comunitari nessuno può dubitare (vedi il "caso Savona" del 2018).
Se poi in futuro i comportamenti o qualche scelta di fondo dell'esecutivo di Roma dovessero entrare davvero in conflitto con i princìpi fondamentali o le grandi scelte sottoscritte solennemente dall'Unione, è legittimo che chi di dovere faccia scattare le procedure previste, che per altro anche l'Italia ha contribuito a elaborare. L'importante però è che si tratti, appunto, degli «strumenti» concordati insieme dai Ventisette, non di forme più o meno indirette di pressione, politica o ideologica, per imporre linee o scelte legislative uniformi, soprattutto in materie non delegate dagli Stati membri.
Tanto per intenderci, un conto è il rigore nella disciplina di bilancio o il rispetto di norme basilari come la separazione dei poteri, la libertà di stampa, l'indipendenza della magistratura. Altra cosa il voler costringere tutti gli europei ad avere una medesima concezione della persona umana e dei suoi diritti o possibilità, compreso quell'aborto che la premier francese ha subito citato per ammonire i vincitori di turno. In questo deprecabile caso, gli "strumenti" invocati finirebbero per somigliare a quel famigerato "letto di Procuste", dove il brigante della mitologia greca costringeva i passanti a stendersi, per poi mutilarli o elongarli se le loro misure non corrispondevano allo spazio disponibile. Plutarco narra come andò a finire questa antica metafora della paura del diverso: un giorno arrivò Teseo, che lo sconfisse smembrandolo proprio come usava fare lui.
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