mercoledì 14 novembre 2012
In un libro dal titolo Della condotta dei letterati, stampato a Venezia nel 1767 e trovato a buon prezzo su una bancarella tanti anni fa, avevo letto che gli intellettuali, proprio perché affaticano la mente, devono distrarsi con giochi puerili, perché «chi è tanto più uomo tante ore al dì», tanto più deve «rimbambire» per riposarsi. E veniva citato l'abate Bencini, «erudito filologo», che si divertiva a confezionare barchette di carta, riempirle di caffè tostato e trascinarle per la stanza con uno spago. Mi è riaggallato quel ricordo leggendo I piaceri dei grandi (Sellerio editore, Palermo 2012, pp. 252, euro 13,00), in cui Giuseppe Scaraffia si è divertito a radunare in ordine alfabetico, da "Bacio" a "Valigia", aneddoti e aforismi sulle stravaganze dei personaggi illustri. Scaraffia, molto presente sui giornali e autore di parecchi libri sobriamente snob, trova anche il tempo per insegnare Letteratura francese all'università La Sapienza di Roma, e questa volta dà fondo al suo schedario, con intermittente divertimento del lettore. Il capitolo introduttivo è intitolato "Arredare il vuoto" perché, per il disincantato autore, nella vita ci si dà da fare sull'orlo del nulla per dimenticare, in definitiva, la morte. Ne ricava, però, questo poetico aforisma: «Il desiderio è il rumore del vento nelle fessure del nulla». Più avanti scriverà: «Chi abita in un albergo constata ogni giorno la sovrapposizione di caso e destino. Nello specchio dell'hotel più sfarzoso si riflette, insieme al volto dell'ospite, il teschio del nulla». Certo, questo genere di libri ricorda quelle grandi scatole di cioccolatini con le stagnole di mille colori che invitano alla scelta, ma che, dopo un po', stuccano, perché non si possono mangiare più di trentotto cioccolatini di seguito. E Scaraffia collega le citazioni con brevi ragionamenti che talvolta impoveriscono i concetti. Apprendiamo, però, l'etimologia dei Tournedos, i medaglioni confezionati con la parte centrale del filetto, che mandavano in visibilio Gioacchino Rossini, noto ghiottone che amava sorvegliare le manovre del cuoco: «Visto che il cuoco non osava mettere mano alla padella davanti a lui, il musicista esclamò: "Ebbene, fatelo girandovi dall'altra parte, tournez moi le dos!". Cioè datemi la schiena». Le stramberie dei personaggi illustri forniscono un repertorio vastissimo. Curzio Malaparte, per esempio, «mandava all'amato levriero da Stromboli, cartoline che aveva tenuto a lungo sul suo corpo, perché gliene arrivasse l'odore, indirizzandole "a Febo Malaparte, Capri"». Il vertice dell'eccentricità, comunque, spetta alla poetessa Edith Sitwell: «Alta un metro e ottantatré, non si lasciava scoraggiare dal suo naso immenso. Anzi sentiva di assomigliare a un aristocratico uccello e si vestiva di conseguenza come una dama medievale. Per non parlare della sua mania di arrivare in ambulanza. D'altronde, ribadiva la Sitwell, "un levriero non deve cercare di camminare come un pechinese"». Le non rare fotografie della poetessa convalidano questo perfetto ritrattino. Il libro non elenca le fonti, ed è giusto che sia così, dato il genere. Talvolta però Scaraffia si affida alla memoria, e così fa passare Tancredi per figlio anziché nipote del principe di Salina (nel Gattopardo cinematografico di Visconti, Tancredi è immortalato da Alain Delon). E talvolta la citazione è un po' tirata via: «Esistono anche i fuoriclasse come Proust che una sera era arrivato a chiedere al portiere gallonato del Ritz una banconota in prestito per poi lasciargliela di mancia». Ricordavo l'episodio come attribuito a Oscar Wilde anziché a Proust, e mi sembrerebbe più appropriato. Ma si sa che aneddoti e aforismi, per troppo uso, finiscono per perdere la paternità.
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