giovedì 29 maggio 2003
Recidività bipolarissima, in pagina. "La violenza nel nome del divino". Così ogni tanto, anzi ogni poco - l'ultima il 20/5, p. 16 - "Il Manifesto" ricorda le tragedie delle guerre di religione nei secoli. Con tre fisse, anzi quattro. La prima è che tutti i mali vengono dalle religioni, e dal cristianesimo cattolico in specie. La seconda, che la via d'uscita sarebbe una religione cristiana debole, che non si dica vera, perché questo "suscita e alimenta guerre, violenze, delitti". La terza, conseguente, è che la religione cristiana, e in particolare quella cattolica, non deve più pensare di essere la vera religione, ma solo una delle tante possibili, al massimo probabili. Semplicissimo. E la quarta? La quarta fissa è che mai viene in mente a quelli del "Manifesto" di ricordare "le guerre, le violenze, i delitti" e le vittime che l'antireligione, in particolare quella dell'ateismo comunista di Stato e di regime, ha moltiplicato: ben più numerose di ogni confronto. Niente: recidivi. E fissi. Come - all'opposto, ma mai come in questo caso gli estremi si toccano - il superiore italiano dei lefebvriani, Michel Simoulin sul "Tempo"(23/5, p. 8), in relazione alla Messa di S. Pio V celebrata sabato scorso a Roma. Per lui niente da fare: "Non basta", e non cambia nulla. Prima (ecco la fissa) la "Santa Sede deve togliere la scomunica alla comunità". Senza condizioni. Poi deve in pratica abrogare mezzo Concilio Vaticano II, sulla liturgia, sulla libertà religiosa, sull'ecumenismo e, ovvio, sull'obbedienza al proprio vescovo"Facile, facilissimo. Su questa base si può cominciare "a fare che?
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