lunedì 21 giugno 2021

Tra poco più di un mese le Olimpiadi di Tokyo. E allora partiamo da lontano, per arrivare vicino. Aprile 1896, Atene fa rivivere i Giochi, i primi dell’era moderna. Spyridon Louis ha 23 anni, viene dal villaggio di Maroussi, l’hanno iscritto per caso ma sta per vincere la prima maratona olimpica della storia. Lui, piccolo greco analfabeta con i baffi e il gonnellino bianco non sa che lo sport è un’avventura, è come leggere Omero o l’Odissea: si parte per un viaggio, e per strada succedono le cose, scorre la vita.

C’è chi arriva alla fine felice, mentre c’è chi non riesce ad andare avanti e si deve fermare. Spyridon è indietro, si è attardato per bere un bicchiere di rosso in un’osteria, ma rimonta, approfitta della stanchezza dei rivali, non si ferma perché le scarpe per correre gliele hanno prestate i compaesani. La maratona è speranza con il fiato, e lui conosce la strada, sposta la polvere, entra per primo nello stadio di casa. Si entusiasmano pure i figli del re Giorgio I, che lasciano la tribuna e lo seguono in pista fino al traguardo, senza raggiungerlo. È la prima rincorsa del potere allo sport. Spyridon vince, in un tripudio di popolo.

Al re che gli offre qualunque cosa per premio, chiede solo un carretto trainato da un asino per trasportare l’acqua che vende al mercato, il suo vero mestiere. Nel 2012, centosedici anni dopo, suo nipote mette all’asta da Christie’s a Londra la coppa conquistata dal nonno. «Con la gloria non si mangia, lui mi perdonerà…», dice per giustificarsi. Il vecchio Spyridon da lassù probabilmente sorride, guardandosi le vesciche ai piedi.

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