martedì 19 ottobre 2021
Ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari all'interno dell'Unione europea entro il 2030: in concreto significa dimezzare, nell'arco del decennio in corso, gli 88 milioni di tonnellate di cibo che ogni anno vanno a finire nella spazzatura dei 27 Paesi membri. È questo l'obiettivo che si propone la Commissione Ue, con una direttiva messa in cantiere di recente e destinata a vedere la luce nella primavera del 2023. In questa primissima fase di elaborazione, Bruxelles ha anche avviato una consultazione pubblica aperta a tutti i cittadini, che possono esprimere liberamente idee e proposte andando sulla pagina web https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13223-Food-waste-reduction-targets_it.
Per pronunciarsi sulla piattaforma aperta c'è tempo fino al 29 ottobre, una scadenza che appare davvero troppo ravvicinata, soprattutto perché a occhio e croce pochissimi europei sembrano al corrente del progetto. Il quale invece dovrebbe interessare quanta più popolazione possibile, sia per le sue ricadute economiche e commerciali, sia per le implicazioni etiche di un fenomeno che grida vendetta, a fronte di un panorama alimentare mondiale caratterizzato da sacche di fame in costante crescita, per l'effetto combinato della pandemia e del forte rincaro dei prezzi agricoli sui mercati.
È vero che questo genere di consultazioni da parte dei vertici Ue non raccoglie mai molte adesioni, forse proprio per un difetto di comunicazione di base. Fatto sta che, nelle prime due settimane di apertura dello “sportello” sugli sprechi alimentari, si sono contati appena 7 contributi! Un numero irrisorio e insignificante, a fronte di un fenomeno di cui tutti facciamo quotidiana esperienza. Senza contare che in Europa opera attivamente un gran numero di Ong e di associazioni simili, che combattono la distruzione di derrate in eccesso e ne promuovono la raccolta a favore di chi ne ha bisogno. Tutte realtà con esperienza e capacità di iniziativa e di proposta che avrebbero molto da dire in proposito.
C'è dunque un problema a monte, che la Commissione dovrebbe affrontare molto seriamente. Tanto più che è in ballo l'elaborazione di una direttiva, ossia di un provvedimento giuridicamente vincolante per tutta l'Unione, alla quale ogni Stato membro dovrà dare attuazione nel proprio territorio.
Sia chiaro: l'iniziativa dell'Esecutivo Ue è più che lodevole. La quantità impressionante di derrate che finisce nei cassonetti è uno scandalo intollerabile. Appena venti giorni fa, in occasione della seconda Giornata internazionale della Consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari, promossa da Fao e Programma Onu per l'ambiente (Unep), Papa Francesco ha scritto un tweet che non ha bisogno di commenti: «Scartare cibo significa scartare persone».
Opportunamente la direttiva Ue è poi inserita nel programma strategico denominato F2F, ovvero “Farm to fork”: letteralmente, dalla fattoria alla forchetta o, più semplicemente, dal produttore al consumatore. Tra i suoi obiettivi principali, oltre a promuovere l'acquisto di cibi rispettosi dell'ambiente e sane abitudini alimentari, figura anche lo sviluppo di cicli produttivi più sostenibili, riducendo emissioni, consumi energetici e, appunto, sprechi in ambito commerciale, nell'ospitalità e nella ristorazione. Viene allora da domandarsi: ma quando Bruxelles fa una cosa giusta, perché non cerca di farlo sapere meglio al grande pubblico europeo?
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