mercoledì 5 maggio 2010
Sì, il Premio Bagutta 2007 è stato determinante per stanare Alessandro
Spina, il più ritroso dei grandi scrittori italiani. Sistemati cronologicamente
gli undici romanzi del ciclo africano nelle 1270 pagine del volume I confini
dell'ombra (Morcelliana 2006), insignito, appunto, del Bagutta, Spina ha
poi dato alle stampa i tre romanzi brevi di Altre sponde (Morcelliana 2008)
e adesso, sempre per lo stesso editore, ecco il Diario di lavoro (pp. 248,
euro 16,50). Una bella rivincita per questo autore che " nonostante l'apprezzamento
di lettori quali Sergio Solmi, Alberto Moravia, Roberto Longhi, Anna Banti,
Pietro Citati, Elémire Zolla, Roberto Calasso e, soprattutto, Cristina
Campo " ha avuto una storia editoriale abbastanza travagliata. Del resto,
dopo la pubblicazione del romanzo La Riva della vita minore (Mondadori
1997) Spina annotava: «Anche l'incapacità dei lettori di seguire un romanzo
complesso non aiuta». E tuttavia, il 27 luglio 1984: «Alle volte ho l'impressione
di essere un attore cieco, cui nessuno osi dire che il teatro è vuoto:
ecco che continua, ridicolo e straziante, la sua elaboratissima rappresentazione.
Ma forse è lui che si beffa dei pochi che lo osservano: sa bene che la
platea è quasi vuota, ma il cuore è una platea, nella mente c'è il doppio
del teatro vuoto, affollatissimo: di grandissimi personaggi, dei suoi maestri,
di giovani mai esistiti». Il Diario consente di conoscere lo scrittore
all'opera (anche nel senso di «opera lirica», così essenziale in Spina),
il suo metodo. Non è un esercizio di autocommento: «Traccio una poetica?
Mai! Appena un tentativo di descrizione a cose fatte, dopo, quando ironici
ci si improvvisa esegeti di sé». Ed è un'esegesi storica, non filologica,
congeniale alla duplicità di Spina, industriale e scrittore, orientale
ed europeo, che " come qualcuno ha detto " «ha scelto l'estraneità come
metodo». Spina è il meno italiano degli scrittori italiani: i suoi maestri
sono mitteleuropei, Fontane, Mann, Hofmannsthal. La critica che viene spesso
rivolta a Spina, e cioè che i suoi ufficiali, distaccati nelle colonie,
sono troppo intellettuali, troppo forbiti, viene così smontata: «Rileggendo
questo saggio di Mann, trovo questa frase: "... e lasciamo per ora impregiudicata
la questione se tenenti prussiani abbiano mai posseduto tanto amabile spirito"
(si riferisce ai dialoghi). Pare l'eco (l'ho già detto che Fontane e Mann
mi copiano ostinati!) di quel che dicevo io degli ufficiali dei miei racconti.
Si è in famiglia, insomma...». Dal Diario viene la conferma della centralità
del racconto «Giugno '40», pubblicato nel 1960 per interessamento di Citati
su Paragone, la rivista di Roberto Longhi e Anna Banti, il cui protagonista
è il tenente Cossa: «Il tenente Cossa aveva un altro nome: Alessandro Spina,
che ho preso poi io, in prestito». Ed è proprio quello il racconto pubblicato
l'anno scorso nei prestigiosissimi Carnets de L'Herne, nella splendida
traduzione francese di Michel Balzamo. Il tenente Cossa, in servizio in
Cirenaica, cerca di cogliere l'anima di Pietro, il bellissimo attendente
del maggiore Brivio, conteso dalle mogli degli ufficiali, impacciato e
intimidito dalla sua stessa bellezza. Chiacchiere di salotto, piccoli intrighi,
desideri: poi entra il tenente Marchi: «"Cossa " disse " bisogna andare,
sembra sia arrivato l'ordine di partire domattina all'alba. È la guerra"».
In guerra moriranno subito il maggiore, lo stesso Cossa, tanti altri. La
conclusione è nella prima riga del racconto: «La guerra, se può spingere
al suicidio, può anche sostituirlo, commentò sobriamente il tenente Cossa
ripiegando il giornale che dava la notizia della morte di una grande scrittrice».
Chi ha mai detto che la letteratura, sempre contigua alla morte, debba
essere semplice?
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