Simboli religiosi in pubblicità: chi protesta e chi ci guadagna
venerdì 22 aprile 2022
I testi: il biblico «Carne della mia carne» corretto in «Verdura della mia verdura», e il liturgico «Prendete e mangiatene tutti:» seguito da «non c'è carne». Le immagini: panini riccamente farciti con un hamburger che, evidentemente, non è fatto di manzo. Una nota catena internazionale di ristoranti fast food ha promosso sul territorio spagnolo la sua linea di pasti vegetariani puntando sulla parodia religiosa, con un'implicita allusione all'astinenza dalle carni prescritta dalla Chiesa in Quaresima. Lo raccontano, tra le fonti specializzate, “Aleteia” edizione spagnola (tradotta il giorno dopo da quella italiana bit.ly/3k0Hg2Y ), “Religion Digital” ( bit.ly/3EDz0zd ) e “Crux” ( bit.ly/3L2XiVK ). Dove la notizia è che, attraverso Twitter e gli altri social, ha preso rapidamente piede un'ondata di proteste salita fino a promuovere un boicottaggio; così l'azienda è stata indotta a scusarsi con quanti si sono sentiti offesi da questa pubblicità e a ritirare le affissioni. Non è la prima e non sarà l'ultima volta che un simbolo religioso viene utilizzato con il fine profano di attrarre l'attenzione: non importa se a farlo è un artista o un marchio. Quello che, ogni volta, viene da chiedersi è a cosa queste operazioni si appigliano: se alla persistenza di memorie religiose in una cultura ampiamente secolarizzata, o alla quota più sensibile della minoranza credente (che nell'era digitale sa ormai come farsi sentire). In questo caso pare evidente l'uso strumentale: la localizzazione della campagna nella sola Siviglia, il periodo scelto (la Settimana santa), il mezzo delle affissioni e la rapidità della marcia indietro dell'azienda, oltre che il suo stile comunicativo, suggeriscono che l'obiettivo fosse quello di ottenere la massima resa, in termini di pubblicizzazione del prodotto, con il minimo sforzo. Anche in termini di creatività.
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