domenica 3 maggio 2020
Spero che si torni a giocare a calcio prima possibile. A vedere il calcio in televisione. A parlare di calcio giocato. Lo spero. Ne avverto un forte bisogno. E ho smesso di vergognarmene, be', quasi del tutto. Lo spero pur sapendo di essere in esigua minoranza ed esposto a critiche feroci. Calcio è parolina alcune volte e parolaccia altre volte. Ma nel momento eccezionale che stiamo vivendo è quasi soltanto parolaccia innominabile, e con ottimi motivi. Perché riaprire al calcio giocato? L'Italia ha ben altre priorità. Riaprire perché, poi? Per permettere a società che spendono e spandono, e alle grosse grasse emittenti televisive, di riprendere a fare affari mentre milioni di partite Iva, di esercizi commerciali, il turismo, lo spettacolo, le scuole paritarie e innumerevoli altri stanno subendo danni incalcolabili? Il calcio è superfluo, ben altri settori sono fondamentali. Del calcio e dei suoi professionisti strapagati possiamo occuparci alla fine, in coda, forse.
Infinite ragionevolissime ragioni inducono a dire: stop, basta, se ne riparla a Covid-19 estirpato, sbaragliato, ridotto all'impotenza. In autunno? Facciamo al 2021, se tutto va bene. Ma non vedete che gli altri sport professionistici, dalla pallacanestro alla pallavolo al rugby, hanno da tempo alzato bandiera bianca proclamando il "tutti a casa"? Si dice: il calcio riprenda ma solo se in condizioni di assoluta sicurezza. Suvvia, sappiamo bene che questa "assoluta sicurezza" è impossibile, e comunque vorrebbe dire una quantità industriale di tamponi – tecnici di laboratorio e reagenti – sottratti a chi ne avrebbe davvero bisogno.
Tante, tantissime, troppe ragioni logiche e perfino nobili indurrebbero a dire: basta, finiamola qui. Che lo dica chi detesta il calcio può non stupire. Sono quelli che non perdono occasione per irridere questo giochino infantile di bambinoni in mutande che corrono dietro a una palla; che alla minima occasione – un incidente, una rissa, uno scandalo... – sorridono e scuotono la testa: basta con queste pericolose sciocchezze. Da loro è scontato il no. Ma se ascolti gli ultrà, ti dicono che il calcio senza tifosi non ha senso. Che per loro il calcio è abitare la curva. Che il calcio "igienizzato" ridotto a rito televisivo è una porcheria e non lo guarderanno mai. Un sondaggio Izi, realizzato a metà aprile e pubblicato su "Calcioefinanza", rivela che il 64 per cento degli italiani è contrario alla ripartenza, e tra questi c'è il 51 per cento degli appassionati.
È tutto vero e giusto, la ragione dice no. Disgraziatamente, noi non siamo fatti solo di "ragione". Alcuni, forse pochissimi, per uscire dal grigiore di troppe giornate spente sentiamo il bisogno di un aiuto. Il calcio è questo aiuto. A chi gli domanda perché stia "buttando" denaro nella sua squadra di calcio e in uno stadio dotato di tribune, l'imprenditore John Cartwright mostra la folla di operai, artigiani, gente del popolo assiepata sulle gradinate: «Non ho mai visto persone così felici. Questo gioco è tutto per loro». È una scena della serie tv The English Game (di cui "Avvenire" ha parlato due volte). La frase è un formidabile assist all'altra facile critica: ecco, il calcio come oppio del popolo! Ma la verità è che, interrogando il cuore, anche chi non è "popolo affranto" avverte di averne bisogno. Non sarà "tutto", il calcio. Ma proprio la sua assenza ha mostrato che è molto.
Io ne ho bisogno, lo confesso. E spero che torni, anche se mutilato degli spettatori. Non è tutto, ma serve per ritornare a vivere, sperare, sorridere. Togliercelo, significherebbe infliggerci un'ulteriore punizione. Di cui invece non ho bisogno.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI