domenica 27 giugno 2010
Ci voleva la polemica interna al Partito Democratico sulla riemersione dell'appellativo di «compagno» " scomparso dopo la morte del Pc e il coma del Psi " per indurre l'Unità (giovedì 24) a una riflessione su «il valore dei nomi», che s'inizia con un accenno al biblico comando di Dio ad Adamo di "dare il nome alle cose". Fu da quel momento che l'umanità cominciò a mettersi in un rapporto di conoscenza e di verità con la realtà del creato e quello fu anche l'inizio della scienza, creatura essa pure di Dio, anche se con il tramite dell'uomo. Riferendosi a «compagno», lo scrittore Bruno Tognolini, autore di filastrocche per bambini e adulti, dunque uno che conosce il valore delle parole, scrive: «È molto meglio che la cosa cambi e il nome resti [...] piuttosto che i nomi cambino e la cosa resti [...] Meglio impiegare le forze a cambiare le cose». Andrebbe benissimo, sennonché l'Unità fu uno dei primi quotidiani a cambiare, per esempio, il nome di aborto in "interruzione volontaria di gravidanza", a negare il nome di uomo al figlio in grembo alla madre, a cambiare quello di madre in quello incompleto di "donna", a chiamare "contraccezione d'emergenza" l'aborto precoce del figlio, "clonazione terapeutica" l'uccisione e l'uso medicinale dell'embrione.... Quando l'Unità fece propria l'antilingua dei radicali, ideata per nascondere la verità delle parole, Tognolini tacque: le cose restavano le stesse, ma cambiavano i nomi e " oplà " sembrava che non ci fossero più. Vinceva il peggiore opportunismo. L'anno scorso, in una serata al Teatro delle Celebrazioni, a Bologna, Tognolini disse: «Molte volte la bugia gridata assume gli aspetti della verità». Adesso che il nome di «compagno» rischia di sparire, perché stanno sparendo anche i compagni, i pochi di costoro rimasti si preoccupano della verità dei nomi. Ma è troppo tardi.

PREGHIERA LAICA
Anche lo scrittore statunitense Edgar Lawrence Doctorow, noto in Italia soprattutto per aver ispirato alcuni film di successo ("Daniel", "Ragtime"...) si occupa, ma in modo solo parziale, della verità delle cose. Su Repubblica (giovedì 24) scrive dei «Diritti negati», soprattutto quello alla vita, e afferma che «la desacralizzazione dell'umanità compiuta dagli autori dei genocidi, rappresenta una terribile umiliazione della nostra specie. Togliere la vita a masse di esseri umani significa togliergli anche l'identità, al punto che la morte di una persona non sembra più rilevante di quella di una formica in un formicaio. I massacri rappresentano un infernale ghigno di disprezzo nei confronti di tutta la presunzione umana: dell'idea di essere qualcosa di più che un ammasso di carne, sangue e ossa». Quest'ultima è la definizione che i radicali danno dell'uomo appena concepito. Doctorow si appella alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Onu, 1948) e ne definisce la lettura e la recitazione una «preghiera laica». Dopo la sua unanime approvazione, però, «i genocidi e le repressioni politiche hanno ucciso fra i 13 e i 14 milioni di persone».
Doctorow dimentica i 40-50 milioni annui di aborti in gran parte legalizzati e il numero inestimabile di embrioni "soprannumerari" abbandonati e, ciò non ostante, afferma: «I rari progressi etici della razza umana non sono venuti da iniziative religiose, ma laiche». Ahimè, qui casca... il Doctorow.
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