martedì 13 marzo 2018
Ho tentato di regalare esperienza, qualche volta, perché ho visto, vissuto e raccontato cinquant'anni di pallone - dalla Serie D all'Olimpo - in particolare storie di calcio internazionale, materia fascinosa che ho rivitalizzato viaggiando e narrando in tutto il mondo dove ho spesso incontrato maestri generosi come Di Stefano e Kovàcs e contestatori ferratissimi: Herrera mi rispondeva di sponda, usando paroliberi amici, poi lavorammo insieme; Rocco mi affrontava di brutto, ne uscì sfiatato, con stretta di mano; Viani mi dedicava memorie avvelenate, accrescendo il mio ego; potrei citare altri antagonisti, non di quel livello, tuttavia la cosa che pochi hanno capito riguarda i vantaggi che ho ricavato da tante diatribe: tutti i miei nemici sono stati involontariamente miei maestri, mi hanno insegnato qualcosa, perché il calcio è come il maiale: non si butta nulla. Tutti giocano con tutti.
Esclusi i cosiddetti inventori dell'acqua calda, quelli che «il calcio sono me». Spesso autodidatti, felici creatori di un bellissimo Nulla. Uno degli ultimi maestri professionali, Josè Mourinho, ha riassunto in due parole magiche, «Zero Tituli», il senso del mestiere di tecnico, rigirando il motto bonipertiano del vincere vincere vincere per cogliere identico risultato. Ecco perché da settimane Maurizio Sarri sta gettando alle ortiche idee, valori, lavoro, risultati pur di ignorare le opinioni - e i consigli gratuiti - altrui: siccome certe idee più innovative che nuove hanno avuto successo sul campo - luogo dato a sperimentazioni anche audaci - e nello spogliatoio di soli udenti, Sarri ha spinto la sua inesperienza oltre l'ostacolo, inventandosi strategie suicide riassumibili con il titolo “getto delle Coppe” per arrivare allo scudetto; riuscendo in breve tempo a mettere a rischio l'agognato Tricolore che avrebbe rallegrato anche Di Maio, pronto ad attribuirsi-scherzando? - anche lo scudetto a Secondigliano. Perché dall'altra parte, dove lo scudetto è una brioche a colazione, la Coppa Italia un babà a merenda, la Champions un cenone da Gianfranco Vissani (sì, sempre lui, il “Pipita” degli chef) si medita il colpaccio, massì, il Triplete. C'è chi può e chi non può, la Juve può. Ammesso che abbia imparato a vincere anche nelle finali di Champions che frequenta con spirito decubertiano da fin troppo tempo. Tutto questo aveva in pugno, Sarri, una ricchezza che ha via via dissipato con piglio autorevole, tentando di convincerci della sua genialità e della nostra stupidità che gli suggeriva «vincere aiuta a vincere, perdere aiuta a perdere». Verità ben nota a Allegri, esperto risicatore labronico che per vincere si butta anche nel mare in tempesta sapendo di avere marinai capaci di domare le onde nemiche: sopra tutti Chiellini, il pisano pentito, capace di domare ogni avversario facendoselo poi amico. E adesso pace. C'è ancora uno Juve-Napoli da giocare. Sarri non si dia perso prima di cominciare. E non si offenda se crediamo ancora sul suo Napoli. Più di lui.
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