giovedì 9 giugno 2016
Serio, o con sorriso. Dopo la giornata elettorale Matteo Renzi (“Unità”, 7/6, p. 1: «Perché non sono contento») spiega al lettore ciò che forse non c'è bisogno di spiegare, e conclude secco: «Possiamo e vogliamo fare meglio. Punto». Un po' di riso invece sempre per le elezioni lo trovi (“Espresso”, 9/6, p. 15) nel titolo di Michele Serra: «A Roma vince il candidato Limortacci». Proprio così: è satira! La pittoresca espressione suona da secoli come insulto, ma talora anche esclamazione ammirata. E proprio a Roma essa ha una storia antica, che in materia come sempre o quasi ci riporta a un Papa. Lui si chiamava Vigilio, eletto nel 537, ed era avversato dalla coppia imperiale Giustiniano e Teodora perché lui si opponeva al patriarca di Costantinopoli Antimo, loro protetto. Teodora nel 545 scrisse a Vigilio una lettera di minaccia, ma lui le rispose con coraggio (cfr. Liber Pontificalis, 61) e fu punito: imprigionato a Roma, imbarcato a Civitavecchia, deportato a Costantinopoli. Durante il viaggio fino a Civitavecchia, però, accadde che molta folla facesse ala al corteo del Papa prigioniero, ed era divisa in due: una parte anche con lacrime chiedeva al Papa la benedizione, un'altra invece contestava il prigioniero con lancio di pietre e… questa singolare espressione: «Fames tua tecum, mortalitas tua tecum pro te!» («Possa morire di fame tu! E i tuoi morti con te, addosso a te!»). La storia dice che papa Vigilio dopo 10 anni di esilio fuggì dalla prigione, ma morì durante il viaggio di ritorno, a Siracusa, il 7 giugno del 555 (quasi un anniversario!). Ecco dunque dal 545 e… papale, la prima traccia dell'insulto poi immortalato anche al Cinema (cfr. “La Grande Guerra”, 1959). Sorriso o meno, Roma senza Papi perde gran parte di storia, e contro i Papi rinnega se stessa.
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