Riscoperte le opere del fiammingo Philippe Rogier, un genio del '500
domenica 8 agosto 2010
«Rogier, onore, gloria e luce delle Fiandre; ha lasciato la vita nel fiore del suo genio, privandoci del nostro dolce Orfeo...»: così il drammaturgo e poeta spagnolo Lope de Vega, tra le rime del suo Lauro di Apollo, nel 1630 ricordava la figura del compositore Philippe Rogier (ca.1561-1596), prima che cadesse quasi definitivamente nell'oblio.
Cercando di restituire un minimo di "giustizia postuma" all'artista franco-fiammingo appare doveroso se non altro passare velocemente in rassegna i pochi punti fermi della sua pur breve esistenza; puer cantor reclutato già nel 1572 presso la corte musicale di Filippo II, divenne prima membro della Capilla Flamenca e quindi ne fu maestro, distinguendosi ben presto per la raffinatezza della scrittura e il saldo riferimento alla tradizione dell'antica scuola contrappuntistica. Le sue affascinanti opere, che un tempo comparivano al fianco di quelle dei sommi Palestrina e Morales nei codici custoditi all'interno dell'Escorial o nella libreria personale del re Giovanni IV di Portogallo, sono oggi tornate nuovamente alla luce grazie all'intervento provvidenziale del direttore David Trendell e del Choir of the King's College di Londra (cd pubblicato da Hyperion e distribuito da Sound and Music).
Il disco viene incorniciato da due suggestivi brani a dodici voci " in apertura Videntes stellam e in chiusura Verbum caro " i soli della raccolta a essere accompagnati da una sezione di basso continuo (gli ottoni dell'English Cornett and Sackbut Ensemble), mentre il vero e proprio punto focale dell'album è invece rappresentato dalla Missa Ego sum qui sum, messa-parodia il cui tema principale è ricavato dall'omonima composizione per il periodo pasquale di Nicolas Gombert, inframmezzata da tre splendidi mottetti penitenziali " Caligaverunt oculi mei, Locutus sum in lingua mea e Laboravi in gemitu meo " che rendono emblematicamente esplicita e compiuta la lezione stilistica di Rogier: di un autore in cui la tecnica polifonica non arriva mai a soffocare il testo sacro, ma tende invece ad esaltarlo nei minimi particolari, seguendolo lettera dopo lettera e nota dopo nota, amplificandone il significato per farlo risuonare nel profondo dell'anima, cassa armonica ideale di queste composizioni.
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