giovedì 28 dicembre 2017

Per Geertgen tot Sint Jans la notte di Natale cala su un mondo terroso, sprofondato nella sua oscurità. Non c'è nessuno ad attendere il Salvatore. Egli è qui, c'è, è nato, ma i pastori non ci sono ancora, san Giuseppe è confinato nell'angolo della capanna sopraffatto dallo stupore e l'asino e il bue si distinguono appena dal resto dell'improvvisato riparo.

Una fotografia fedele al Natale 2017. Benché le città, le strade, i negozi sorridano fra luminarie e svolazzanti buon Natale, si ha la sensazione di essere soli e al buio, in un mondo che rivela a ogni piè sospinto le crepe della sua fragilità. Mi hanno impressionato le lacrime di quanti piangevano di gioia di fronte al preteso diritto di morire quando lo si desidera. Mi hanno impressionato per l'assoluta inconsapevolezza che regna dietro quell'angosciante soddisfazione. Nessuno più di Cristo è nato per morire. Eppure Lui solo può veramente dare la sua vita e riprenderla, lui solo conosce la via per giungere al Padre. Egli solo ha deciso di nascere senza concorso di uomo. Egli solo sa il valore insito in ogni uomo, anche quello che lo misconosce, lo rifiuta, lo vorrebbe cancellare dal vocabolario umano. Ed è proprio qui il dramma: si pretende di cancellare una cultura, una civiltà che si è pazientemente edificata nei secoli su principi che sono connaturali al cuore umano, non senza errori naturalmente (giacché ogni civiltà ne commette poiché errare humanum est). Benché ci separino molti secoli da Geerten tot Sint è in questa tavolozza che pare attingere il bruno della sua tela, la tavolozza di chi, chiamato a guardare in alto, non sa sollevare lo sguardo.

Ci accorgiamo, infatti, che Cristo riposa in una mangiatoria con la forma del sepolcro. Quella impressionante e rudimentale bara si gonfia di una luce che non ha precedenti su questa terra. Una luce divina che l'artista riesce a rendere con efficacia facendola rimbalzare sul volto di Maria, sugli angeli adoranti e, all'orizzonte, sul messaggero alato che istruisce i pastori. C'è un bagliore di fuoco nel campo dei pastori. È il fuoco che si vorrebbe accendere in ogni cuore nei giorni di Natale. Come si potrà incendiare il mondo di questo fuoco? Insistentemente ha ripetuto il Papa nel giorno del suo compleanno: Se togliamo Gesù, che cosa rimane del Natale? Una festa vuota. Non togliere Gesù dal Natale! Gesù è il centro del Natale, Gesù è il vero Natale!

Se togliamo Gesù da questo dipinto che cosa resta? Tutto si spegne: è lui la luce del quadro. Gli angeli tornerebbero nel loro cielo, Maria sarebbe inghiottita dalle tenebre, come Giuseppe, rimarrebbe solo il fuoco, così lontano e fragile da risultare inadeguato alle attese umane. Cristo è davvero il centro del Natale, Cristo che porta con sé, come il rotolo della Torah, la sapienza plurimillenaria di Israele, Gesù che permette a questa sapienza di rimbalzare nei secoli dentro la terra dei goyim, cioè dei pagani.

L'occidente vive di questa luce. L'occidente, al di là delle contraddizioni in cui cade, vive ancora della luce della cultura giudaico-cristiana che negli ultimi secoli si è ripetutamente cercato di far morire. Tuttavia non potrà morire una luce che si sprigiona da una tomba. Questa, infatti, proprio nella vittoria sulla morte trova la sua forza; proprio nella coscienza del Mistero della vita umana, al di sopra di ogni razza e colore, trova il suo grimaldello per scardinare le petulanti pretese di un progresso che è invece regresso e degenerazione dell'umano.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI